Esteso per altri due giorni il cessate il fuoco in città. Scuole riaperte, alcune famiglie tornano a casa. In Iraq, intanto, ucciso in un raid della coalizione internazionale un importante leader dell’Isis della provincia dell’Anbar
della redazione
Roma, 10 maggio 2016, Nena News – Altre 48 ore di calma per Aleppo. A confermare la notizia è il governo siriano: il nuovo cessate il fuoco, iniziato oggi all’1 del mattino, terminerà a mezzanotte di mercoledì. La precedente mini-tregua era stata raggiunta sabato e sarebbe dovuta terminare ieri. I giorni di relativa tranquillità hanno portato in città un po’ di normalità: diverse famiglie sono ritornate nei quartieri precedentemente abbandonati a causa dei violenti scontri(in particolare nell’area orientale); le scuole, chiuse da più di due settimane, sono state riaperte. La battaglia di Aleppo ha provocato in due settimane più di 300 vittime civili. E nonostante l’intesa concordata tra governo e ribelli sia un segnale positivo, la fine delle ostilità appare ancora una chimera.
Il possibile ritorno alle violenze non ha scoraggiato però gli aleppini a ripopolare in questi giorni la città. “Ho deciso di ritornare a casa dopo che i miei familiari mi hanno detto che regnava una maggiore calma” ha detto un residente intervistato dall’Ap. “Ce ne siamo andati perché qui era in atto un massacro” ha poi aggiunto.
Ma in ballo c’è di più della fine delle violenze in città. La comunità internazionale, infatti, spera che il cessate il fuoco concordato da entrambe le parti possa rimettere in moto un processo di pace attualmente moribondo. Proprio per riattivare gli sforzi diplomatici tra le parti belligeranti, i rappresentanti di Inghilterra, Germania, Italia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Giordania, Turchia e Unione Europea sono da ieri a Parigi. L’incontro degli “Amici della Siria” – il gruppo internazionale vicino ai ribelli – è avvenuto alla presenza di Riad Hijaab, il leader dell’opposizione siriana “moderata”.
Il portale Middle East Eye, intanto, ha rivelato ieri che il leader islamista radicale egiziano Rifai Taha, ucciso in un raid americano lo scorso 5 aprile, era in missione in Siria per provare a convincere il ramo siriano di al-Qa’eda ad abbandonare l’idea di un jihad globale. Taha – cofondatore del gruppo radicale al-Jamaa al-Islamiyya e vicino ideologicamente a Osama Bin Laden pur non avendo mai aderito alla sua organizzazione – doveva svolgere un ruolo di mediazione tra i qa’edisti del Fronte an-Nusra e i salafiti di Ahrar al-Sham i cui rapporti si sono recentemente incrinati per questioni ideologiche e per dissidi sulle conquiste territoriali nell’area di Idlib. Quello che bisognava fare – aveva spiegato loro Taha – era trovare una intesa per combattere i veri “nemici”: il presidente siriano Bashar al-Asad e l’autoproclamato Stato Islamico (Is).
La versione proposta da Middle East Eye differisce da quella ufficiale di Washington. L’amministrazione americana, infatti, affermò allora di aver ucciso “alcuni importanti militanti di al-Qa’eda” che minacciavano la sicurezza degli Stati Uniti. Taha vantava un curriculum di tutto rispetto all’interno della galassia del fanatismo islamico: fu, infatti, la mente del fallito attentato al presidente egiziano Hosni Mubarak nel luglio del 1995 ad Addis Ababa. Due anni dopo, invece, fu a capo dell’ala militare del gruppo che uccise 62 persone (per lo più turisti) nel sito archeologico di Luxor.
La rivelazione di Middle East Eye, se confermata, mostrerebbe nuovamente l’ipocrisia occidentale in Siria: se da un lato, Bruxelles e Washington si mostrano contrarie a venire a patti con an-Nusra (perché “terroristi”), dall’altro dialogano senza problemi con i non meno pericolosi salafiti di Ahrar ash-Sham (che sono però “moderati” per gli occidentali) con cui al-Qa’eda – come dimostra il viaggio di Taha – spera di raggiungere una intesa (e con cui ha già collaborato in varie battaglie).
La lotta all’Is segna in queste ultime ore un piccolo successo. Ieri il segretario dell’ufficio stampa del Pentagono, Peter Cook, ha annunciato che Abu Wahib, un importante capo dello Stato Islamico nella provincia irachena dell’Anbar, è stato ucciso nel corso di un raid aereo della coalizione internazionale. Ma a perdere la vita in Iraq sono soprattutto civili. Un’autobomba è esplosa ieri in un’area affollata della città di Baquba, la capitale della provincia di Diyala nell’est del Paese. Il bilancio è di 10 vittime e almeno 35 feriti. “Questo è solo un dato provvisorio” ha avvisato un alto ufficiale. Nena News