La ministra di giustizia dello stato ebraico ha detto ieri che “le leggi che passeranno al parlamento israeliano saranno estese anche alla Giudea e la Samaria”. La “centrista” Livni l’attacca: “così è la fine della soluzione a due-stati, 2.5 milioni di palestinesi voteranno da noi”
di Roberto Prinzi
Roma, 2 maggio 2016, Nena News – La legge israeliana regolerà anche la vita in Cisgiordania? Secondo la ministra di giustizia dello stato ebraico, Ayelet Shaked, sì. E anche molto presto. Intervenuta ieri al Forum legale per la Terra d’Israele, nonostante la forte contrarietà espressa dal procuratore generale Yehuda Weinstein, Shaked ha parlato della Hoq Hanormot (conosciuta come “la legge della normalizzazione”) che dovrebbe estendere il controllo giuridico israeliano anche al territorio cisgiordano.
“Ho creato una commissione congiunta con il ministro della difesa Ya’alon affinché ogni legge passata alla Knesset venga applicata anche alla Giudea e la Samaria [la Cisgiordania nel linguaggio della destra israeliana, ndr] o per mezzo della legge stessa, o per ordine di un generale o con ogni altro modo considerato appropriato” ha detto la ministra, esponente di punta del partito dei coloni “Casa ebraica”.
Non paga della dichiarazione, che di fatto si fa beffa delle risoluzioni internazionali in quanto considera la Cisgiordania territorio israeliano e non parte del futuro stato palestinese, Shaked ha rincarato la dose: “in qualità di ministra di giustizia, darò a questa proposta la priorità. Finora non è stato fatto molto a riguardo. La maggior parte delle leggi sono molto restrittive se si pensa che le leggi relative all’ambiente e al lavoro non si applicano alla Giudea e Samaria”. E poi ha concluso il suo intervento con la promessa: “il mio obiettivo è che ciò avvenga entro un anno”.
Messaggio chiaro e inequivocabile che, per l’ennesima volta, ribadisce la scarsa voglia (è un eufemismo) del governo Netanyahu (chiunque sia il suo rappresentante) di raggiungere qualunque tipo di accordo di pacificazione con i palestinesi. Una dichiarazione che fa ancora più clamore perché giunge a pochi giorni dal no secco di Netanyahu alla proposta di pace avanzata dai francesi. Sia chiaro – si era premurato di spiegare il premier alla stampa – il suo rifiuto non deriva assolutamente dal mancato desiderio di Tel Aviv di porre fine al conflitto con i palestinesi, ma dal presupposto che qualunque accordo con loro deve nascere “in incontri bilaterali” e non “con mosse unilaterali”.
Una contrarietà al concetto di unilateralità che cambia e si modifica nella stanza dei bottoni israeliani a seconda della situazione: rigettato con forza quando a proporlo sono gli altri (siano essi palestinesi, Onu o europei), diventa principio cardine della prassi israeliana quando conviene allo stato ebraico: costruire nuove colonie, invadere il territorio palestinese e finanche nel “liberare” aree precedentemente in suo possesso (qualcuno si ricorda del “disimpegno da Gaza” nel 2005?).
Le dichiarazioni oltranziste della ministra, inoltre, seguono quelle recenti del primo ministro secondo cui le Alture del Golan (occupate da Israele nel 1967 e annesse illegalmente per la comunità internazionale nel 1981) rimarranno per sempre israeliane. Unilateralmente andrebbe aggiunto.
Ma se Shaked propone l’uniformità giuridica tra Cisgiordania e territorio israeliano, l’opposizione alla sua proposta espressa dalla “centrista” Livni pone paradossalmente quest’ultima ancora più a destra di “Casa Ebraica”. “Il governo di destra sta iniziando silenziosamente il processo di annessione imponendo la sua ideologia” ha detto l’ex titolare del dicastero degli Esteri durante la mattanza di Piombo fuso nella Striscia di Gaza del 2009. Contrarietà, quindi, perché danneggia i diritti dei palestinesi? Tutt’altro. “Il risultato finale – ha infatti spiegato – sarà il collasso dell’idea dei due stati, una pressione internazionale e, alla fine, 2.5 milioni di palestinesi che avranno il diritto di votare alla Knesset”. Ritorna nelle parole di Livni lo spettro della minaccia demografica rappresentata dagli “arabi” che, integrati nel sistema israeliano, cancellerebbero l’identità “ebraica” dello stato d’Israele. Prospettiva da scongiurare assolutamente anche a costo di cedere con dispiacere un po’ dell’Eretz Yisrael.
Unica voce israeliana fuori dal coro è quella della leader di Meretz Zehava Gal-On. Shaked, ha detto la parlamentare di sinistra, sta combinando “annessione e apartheid” rendendo Israele “puzzolente” e “lebbroso” all’opinione pubblica mondiale. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir
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