Un documento del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) pubblicato ieri sostiene che l’alto tasso di disoccupazione giovanile della “generazione più istruita nella storia della regione araba” potrebbe portare ad un’ondata di proteste in Medio Oriente. I giovani, si sottolinea nello studio, “potrebbero preferire mezzi più diretti e violenti”
della redazione
Roma, 1 dicembre 2016, Nena News – Una nuova “primavera araba” nel Medio Oriente potrebbe essere imminente se i governi della regione non affrontano seriamente il problema della disoccupazione e della marginalizzazione dei giovani. Ad affermarlo è un “Rapporto sullo sviluppo arabo” rilasciato ieri dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp). Secondo il documento, gli stati mediorientali dovrebbero cogliere le “opportunità storiche” rappresentate dalla generazione dei giovani arabi urbani altamente istruiti. Tuttavia, invece di farlo, i governi della regione non creano le condizioni affinché essi realizzino il loro potenziale creando così l’humus propizio per una nuova ondata di proteste nell’area simile a quella che ha avuto luogo sei anni fa. A poter scatenare nuove rivolte, sottolinea il rapporto Onu, è innanzitutto l’alto tasso di disoccupazione al 30% (il doppio di quello mondiale stimato al 14%) che colpisce soprattutto le donne che hanno più difficoltà degli uomini a trovare un impiego.
Secondo lo studio, entro il 2020 i governi arabi potrebbero non riuscire a trovare 60 milioni di posti di lavoro necessari per “assorbire la nuova generazione dei giovani arabi” la quale, frustrata e insoddisfatta per le politiche statali, potrebbe a quel punto dare il via a nuove insurrezioni popolari. Uno scenario del genere non deve destare alcuna sorpresa: nel report, infatti, l’Onu sostiene che le proteste avvengono ormai con frequenza ciclica nel nord Africa ogni cinque anni (2001, 2006, 2011) e ogni volta “sempre in modo più violento”. Una questione, quella dell’occupazione, molto difficile da risolvere in un’area in cui gli abitanti di età compresa tra i 15 e i 29 anni costituiscono un terzo della popolazione complessiva e dove un altro terzo di persone ha meno di 15 anni. Già ora, scrive l’Onu, “i giovani stanno lottando per ottenere piena inclusione sociale ed economica all’interno delle loro società”. Dunque, sembra contraddirsi qui lo studio, non c’è bisogno di aspettare la “primavera”, perché non c’è alcun inverno: il mondo arabo è già in fermento diversamente da quanto si racconta orientalisticamente in Occidente.
Proprio l’incapacità dei governi di soddisfare le richieste dei giovani arabi potrebbe indurre quest’ultimi “a preferire mezzi più diretti e violenti” soprattutto se avvertono “che i meccanismi attuali della partecipazione e della responsabilità sono inutili”. A maggior ragione se si tiene in conto – il documento Onu insiste su questo punto – che la nuova generazione è “la più istruita e urbanizzata nella storia della regione araba”. Che tradotto vuol dire che ha maggiore coscienza di sé e migliori strumenti di lotta. “L’ondata di rivolte che ha attraversato l’area dal 2011 ci ha mostrato che non possiamo più trattare i giovani come dipendenti passivi o come una generazione in attesa” ha affermato Sophie de Caen, la direttrice dell’Istituto regionale per gli stati arabi dell’Undp. “Oggi – continua de Caen – i ragazzi qui sono più istruiti, più connessi e mobili che mai. Gli stati arabi possono raccogliere il grande dividendo demografico rappresentato dalla loro popolazione giovane se investono nelle loro capacità e aumentano le loro opportunità”.
Il rapporto invita pertanto i governi ad affrontare i temi dell’identità, della partecipazione civica, dell’istruzione, dell’impiego e della legittimazione delle donne sottolineando come la disoccupazione, la povertà e la marginalizzazione dei giovani potrebbero portare a nuove proteste. “Il fallimento di tradurre in lavori decenti i successi raggiunti dai giovani nel campo dell’istruzione secondo il tasso di crescita della popolazione non solo limita i benefici del dividendo demografico, ma produrrà anche maggiori tensioni economiche e sociali nella regione”. Secondo l’Onu, infatti, nel 2020 almeno tre arabi su quattro potrebbero “vivere in paesi esposti al conflitto”. Del resto già i dati attuali delle Nazioni Unite, non parliamo quindi di proiezioni future, sono di per sé indicativi: nel 2014 il mondo arabo ha rappresentato da solo il 68% delle morti causate da conflitti, il 47% degli sfollati interni e il 58% dei rifugiati. Nena News