L’Autorità palestinese sta valutando l’ipotesi di ripresentare al Consiglio di Sicurezza (CS) dell’Onu la sua risoluzione che impone la fine dell’occupazione israeliana entro il 2017 approfittando dell’ingresso di nuovi membri non permanenti nel Cs. Palestinese ucciso ieri da esercito egiziano. Un pescatore gazawi ferito gravemente stamane.
di Roberto Prinzi
Roma, 3 gennaio 2015, Nena News – Nonostante la bocciatura di martedì, i palestinesi ci riprovano. L’Autorità palestinese (Ap), infatti, starebbe valutando la possibilità di ripresentare al Consiglio di Sicurezza dell’Onu (CS) la sua risoluzione che impone il ritiro militare israeliano entro il 2017 e fissa a 12 mesi i negoziati di pace con Tel Aviv. A rivelarlo è stato oggi il portavoce dell’Ap, Nabil Abu Rudeineh. Il motivo? Il 1 gennaio sono cambiati cinque membri non permanenti del CS: al posto di Argentina, Lussemburgo, Australia, Sud Corea e Ruanda, sono entrati Angola, Malesia, Nuova Zelanda, Venezuela e Spagna. Paesi che, secondo Ramallah, sono più vicini alla causa palestinese e che pertanto potrebbero optare per il “sì” in caso di nuova votazione.
L’eventuale nuova richiesta di voto al Cs era stata subito ventilata dal negoziatore palestinese Sa’eb ‘Erakat dopo aver incassato la sconfitta in sede Onu martedì. Secondo l’Agenzia palestinese Wafa, il presidente ‘Abbas ha ordinato al suo ministro degli Esteri (Riyad al-Malki) e ad alcuni ambasciatori palestinesi di avere incontri con gli stati che si sono astenuti (Gran Bretagna, Lituania, Nigeria, Sud Corea e Ruanda) o hanno votato contro la risoluzione (Australia e Stati Uniti) nel tentativo di convincerli a cambiare idea. Ramallah aveva già incassato il sostegno di Francia, Cina, Russia, Ciad, Argentina, Cile, Giordania e Lussemburgo ed era certa, alla vigilia del voto, di guadagnare i 9 voti necessari per far passare la mozione.
Così, però, non è stato. La Nigeria, da cui Ramallah attendeva un “sì”, alla fine si è astenuta lasciando così i palestinesi privi del numero richiesto per l’approvazione della risoluzione. La mossa “inaspettata” di Lagos ha fatto tirare un sospiro di sollievo a Washington che con grossi imbarazzi (soprattutto con gli alleati arabi della coalizione anti-Isis) sarebbe stata costretta a porre il veto alla mozione palestinese.
Mentre la leadership palestinese valuta la possibilità di una nuova votazione al CS, l’inviato palestinese alle Nazioni Unite, Riyad Mansour, ha consegnato ieri formalmente la richiesta di adesione alla Corte Penale Internazionale (CPI). Se accolta, i palestinesi potrebbero perseguire penalmente Israele. “Questo è un passo molto significativo. Noi cerchiamo giustizia per tutte le vittime che sono state uccise da Israele, la forza occupante. La nostra è una opzione legale e pacifica. E’ una opzione civile e chiunque rispetta la legge non dovrebbe temerla”. A chi gli ha chiesto se nutre timori circa il fatto che alcuni leader palestinesi – in particolar modo gli esponenti islamisti di Hamas – possano essere incriminati per crimini di guerra, Mansor ha risposto pacatamente: “noi non abbiamo paura del giudizio della legge, soprattutto di quella internazionale”.
L’Onu ha fatto sapere di aver ricevuto ieri tutte le carte necessarie per l’adesione e si riserva un periodo della durata massima di 60 giorni per valutare se accogliere o meno l’istanza. Mercoledì il Presidente Mahmoud Abbas aveva firmato a Ramallah il documento di richiesta per il CPI scatenando le immediate ire di Tel Aviv. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, aveva subito esortato la Corte Penale Internazionale a respingere l’azione palestinese. “Noi ci aspettiamo che il CPI rifiuti questa richiesta ipocrita dell’Autorità Palestinese che non è uno stato, ma una entità che ha legami con una organizzazione terroristica [Hamas, ndr]” aveva dichiarato giovedì Netanyahu. Di diverso avviso è il procuratore capo del CPI, Fatou Mensouda, secondo il quale la Palestina ha tutti i requisiti per aderire alla Corte Penale. Israele, va ricordato, non è firmataria dello Statuto di Roma [il trattato internazionale istitutivo del CPI, ndr] e non riconosce la giurisdizione della corte.
Il capo negoziatore palestinese, Sa’eb ‘Erakat, ha ieri ostentato sicurezza dichiarando che entro marzo la Palestina sarà membro del CPI. Intervistato dalla rete panaraba al-Mayadeen, Erakat ha anche affermato che la leadership palestinese era conscia del fatto che la loro risoluzione sarebbe stata bocciata al CS martedì. Ciononostante, ha spiegato, l’Autorità palestinese ha insistito perché intendeva mandare un messaggio agli americani. “Washington sapeva che se avesse rifiutato la [nostra] risoluzione, noi avremmo firmato le lettere per aderire alle organizzazioni internazionali. E questo è quello che è accaduto”. Abbas, infatti, ha sottoscritto mercoledì oltre allo Statuto di Roma della CPI altri 20 trattati internazionali.
L’atteggiamento baldanzoso di ‘Erakat sembra essere esagerato. Alcuni analisti fanno notare come il CPI non sempre accolga le richieste degli stati. Inoltre c’è la questione relativa alla statualità a creare grossi problemi ai palestinesi. Soltanto gli stati, infatti, possono aderire alla Corte Penale Internazionale e alcuni non riconoscono la Palestina come tale. Non è poi da sottovalutare la dura opposizione statunitense alla mossa diplomatica avanzata da ‘Abbas. Washington ha già dichiarato che l’azione palestinese (“controproducente”) avrà conseguenze negative sui futuri negoziati tra i palestinesi e israeliani (di cui, al momento, né Tel Aviv né Ramallah osano parlare). Ieri una fonte anonima del Dipartimento di Stato americano ha dichiarato alla Reuters che gli statunitensi rivedranno l’aiuto economico verso l’Autorità palestinese. “Non deve stupire se ci saranno conseguenze per questo passo [compiuto dai palestinesi]” ha minacciato l’alto ufficiale.
Non si placano, intanto, le violenze contro i palestinesi. Nella serata di ieri le forze armate egiziane hanno ucciso un palestinese a Rafah al confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto. Secondo alcuni testimoni oculari, i militari hanno aperto il fuoco contro quattro palestinesi nel quartiere di as-Salam. Nel corso della sparatoria, un giovane di 17anni, Hopi Zaki, ha perso la vita sul colpo mentre gli altri tre sarebbero stati arrestati. L’attacco mortale è stato subito condannato da Hamas: “quanto accaduto non è adeguato alle relazioni amichevoli tra fratelli” si legge in una nota del movimento islamico.
Martedì i “fratelli” del Cairo hanno annunciato di iniziare la prossima settimana i lavori per allargare la zona cuscinetto tra la Striscia e l’Egitto. La costruzione di una buffer zone larga un chilometro lungo i 10 chilometri del confine è stata decisa (ufficialmente) in seguito all’attentato suicida del 24 ottobre in cui hanno perso la vita 30 soldati egiziani. Al momento più di 800 case sono state demolite per permettere l’esecuzione del progetto.
Stamattina, invece, un pescatore gazawi, Jamal Numan, è stato gravemente ferito da una nave da guerra israeliana vicino alle coste di Rafah. Secondo il sindacato dei pescatori di Gaza, nel 2014 gli israeliani hanno distrutto 52 barche di palestinesi nel 2014 e hanno arrestato 56 persone.
Sempre stamane veicoli armati israeliani hanno attraversato il confine settentrionale della Striscia di Gaza e sono penetrati nei campi di Beit Lahiya. Stando a quanto riferiscono le fonti locali, i mezzi armati israeliani sarebbero usciti da una base militare posta sul lato israeliano del confine e avrebbero distrutto i campi coltivati degli agricoltori palestinesi. Nena News