La notizia, non confermata ancora da esponenti del governo Netanyahu, è stata rivelata ieri da un ufficiale israeliano al quotidiano Ha’Aretz. Sabato Tel Aviv aveva deciso di congelare 127 milioni di dollari di tasse destinati all’Autorità palestinese (Ap) in risposta alla richiesta dei palestinesi di aderire alla Corte penale internazionale. Il presidente ‘Abbas, però, tira dritto imperturbabile.
di Roberto Prinzi
Roma, 5 gennaio 2015, Nena News - Alla richiesta palestinese di adesione alla Corte Penale internazionale (CPI) della scorsa settimana, Israele ha subito risposto. Prima (sabato) congelando il trasferimento a Ramallah di 127 milioni di dollari derivanti dai soldi delle tasse e dei dazi doganali. Poi (domenica) chiedendo al Congresso statunitense di smettere di finanziare l’Autorità palestinese (400 milioni di dollari l’anno). A rivelare al quotidiano Ha’Aretz quest’ultima (presunta) azione punitiva è stato ieri un ufficiale israeliano.
Secondo infatti la legge di finanziamento, passata lo scorso mese al Congresso e firmata dal Presidente Usa Obama, il Dipartimento di Stato può bloccare i fondi destinati ai palestinesi qualora questi decidano di “intraprendere una inchiesta autorizzata giuridicamente dalla Corte Penale internazionale (o la sostengano attivamente) che incrimina gli israeliani per crimini contro i palestinesi”.
Le parole dell’ufficiale non sono state al momento confermate dagli esponenti del governo israeliano. Tuttavia, una controffensiva politica così dura non sarebbe sorprendente visti i toni usati dal premier Netanyahu in questi giorni. Ieri mattina il primo ministro israeliano, aprendo la riunione settimanale del suo esecutivo, ha detto che il suo Paese non permetterà che i suoi soldati vengano processati. “L’autorità palestinese – ha tuonato il premier – ha scelto di scontrarsi con Israele e noi non staremo a guardare”.
Che una richiesta israeliana di questo tipo venga accolta a Washington è molto probabile. Molti membri del Congresso (sia repubblicani che democratici) hanno considerato le ultime mosse di Ramallah – la risoluzione bocciata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu in cui si chiede la fine dell’occupazione israeliana entro il 2017 e la richiesta di adesione al CPI – inaccettabili, ma utili per rimettere al centro del dibattito politico il tema del finanziamento americano all’Autorità palestinese (Ap). Alcuni – scrive il “The Times of Israel – avrebbero cercato perfino di trovare cavilli legali per “punire” le Nazioni Unite e le istituzioni ad essa affiliate.
Che al Congresso si respiri una clima ostile contro i palestinesi non è una novità. Sin dalla “riappacificazione” dello scorso aprile tra Fatah (compagine politica del Presidente palestinese ‘Abbas) e gli islamisti di Hamas (gruppo terroristico per europei, americani e israeliani), sono stati diversi i rappresentati ufficiali americani che hanno esortato l’amministrazione Obama a prendere misure punitive contro i palestinesi.
Secondo una mozione passata al Congresso lo scorso dicembre, se i palestinesi dovessero ottenere lo status di membro alle Nazioni Unite o in qualunque Agenzia specifica, la legislazione americana può prevedere la chiusura per almeno tre mesi degli uffici di Washington dell’Ap. La loro riapertura potrebbe avvenire in qualunque momento dopo i tre mesi a patto, però, che i palestinesi inizino nuovi negoziati con gli israeliani.
Nonostante la controffensiva israeliana, Ramallah (almeno a parole) appare indifferente. Ieri il presidente Abbas ha confermato le voci che circolavano già sabato circa la sua intenzione di ripresentare la risoluzione bocciata al Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Cs) lo scorso martedì. “Non siamo stati noi a fallire [nella votazione], ma è il Cs che ci ha fatto fallire” ha detto Abbas intervenendo ad una conferenza. Ciononostante, il presidente ha poi aggiunto: “Noi ritorneremo [al Consiglio di Sicurezza]. Forse fra una settimana. Stiamo valutando insieme ai nostri alleati e, in particolar modo alla Giordania, la possibilità di ripresentare la nostra mozione per una seconda volta, [e lo faremo se necessario] per una terza volta e anche una quarta volta”. Quanto al congelamento deciso sabato da Israele, il presidente è sembrato imperturbabile: “ora ci sono le sanzioni, va bene. C’è una escalation [da parte israeliana], va bene. Noi continueremo ad andare avanti”.
A ostentare sicurezza è stato anche il capo negoziatore palestinese Sa’eb ‘Erekat. Intervistato ieri dal portale israeliano YNET, Erekat ha accennato alla possibilità di dissolvere l’Ap facendo pesare interamente su Israele i costi della sua occupazione militare. “Noi siamo una autorità solo di nome. Il signor Netanyahu è riuscito a distruggerla. E’ quello che lui progetta da quando è salito a potere” ha dichiarato il negoziatore commentando il congelamento dei 127 milioni di dollari stabilito da Israele e definito da lui “un crimine di guerra”.
Crimini di guerra per cui potrebbero essere incriminati alcuni leader palestinesi. Alcuni ufficiali israeliani – che hanno preferito restare anonimi – hanno rivelato alla stampa locale che Tel Aviv potrebbe lanciare una controffensiva contro i palestinesi utilizzando parti terze. Una di queste (sebbene non sia stata esplicitamente nominata) potrebbe essere l’Ong israeliana Shuarat hadin. Già lo scorso novembre, l’organizzazione non governativa che difende le vittime israeliane del terrorismo aveva chiesto al procuratore della Corte penale internazionale di processare il presidente Mahmoud Abbas per crimini di guerra. Gruppi armati affiliati al suo partito Fatah – è la ratio dell’incriminazione- hanno lanciato razzi contro il territorio israeliano durante l’offensiva Margine Protettivo della scorsa estate. A settembre l’Ong aveva inviato una richiesta simile per il leader di Hamas, Khalid Mash’al. Nena News