Continuano le proteste contro l’Autorità nazionale palestinese per le sue politiche anti-Hamas che colpiscono però la popolazione gazawi. Previste intanto per oggi nuove manifestazioni lungo il confine tra Israele e la Striscia
della redazione
Roma, 22 giugno 2018, Nena News – Erano in piazza mercoledì sera in Cisgiordania, Libano e Giordania uniti dallo stesso slogan contro l’Autorità palestinese (Ap): “Togli le sanzioni” dalla Striscia di Gaza. Secondo gli attivisti, responsabile del peggioramento della già da tempo gravissima situazione umanitaria nella Striscia è Fatah, il partito del presidente palestinese Abbas. A maggio, infatti, l’Ap ha decurtato del 50% i salari dei suoi circa 50.000 impiegati pubblici senza aver dato loro alcun preavviso. La scorsa estate, invece, aveva smesso di pagare l’elettricità lasciando i gazawi con solo due ore di corrente elettrica al giorno (invece delle “normali” 8 ore). L’obiettivo è chiaro: rendere insostenibile le condizioni di vita nella Striscia così da scatenare una rivolta contro gli islamisti di Hamas che governano l’enclave assediata da Israele da oltre 10 anni.
A Betlemme 150 manifestanti hanno chiesto all’Autorità palestinese di porre fine alla sua rivalità con Hamas. “Chiediamo all’Ap che ridia [interamente] i salari ai dipendenti pubblici di Gaza, che tratti la gente di Gaza e della Cisgiordania come se fosse solo una cosa e che la smetta di combattere Hamas perché noi siamo un popolo solo” ha sintetizzato al portale Middle East Eye l’attivista 20enne Alaa al-Daya. Il governo dell’Autorità palestinese è stato però anche criticato per aver represso violentemente una simile manifestazione di solidarietà con Gaza lo scorso 13 giugno a Ramallah quando decine di agenti (molti dei quali in borghese) hanno disperso i manifestanti con gas lacrimogeni, bombe stordenti e manganelli.
Una repressione che ha scioccato non pochi palestinesi: “Ero a Ramallah [la scorsa settimana] e mia figlia è stata colpita. Quanto accaduto è stato orribile, inaccettabile da parte di qualunque potenza civile su questo pianeta. Sono delinquenti che si sono infiltrati all’interno di una protesta civile” ha detto Rehab Nazzal, un professore dell’università Dar al-Kalima. “L’Ap ha ignorato la volontà del popolo palestinese – gli ha fatto eco Nazzal, un altro manifestante – Tuttavia queste proteste stanno rompendo il silenzio. Siamo rimasti in silenzio per troppi anni”.
Sarà stato forse per il ginepraio di polemiche scatenate in seguito alla manifestazione del 13 giugno che l’altro ieri l’atteggiamento della polizia è stato molto diverso. Le forze dell’ordine, infatti, hanno distribuito bottiglie d’acqua ai manifestanti e hanno mantenuto un profilo più basso nel tentativo, denunciano alcuni attivisti, di provare a far dimenticare quanto accaduto a Ramallah la scorsa settimana.
A Beirut, invece, la protesta ha avuto luogo fuori l’ambasciata dell’Autorità palestinese. Qui alcuni dimostranti reggevano in mano un cartello: “Un popolo, un sangue, un organismo”. A distanza ravvicinata alcuni sostenitori di Fatah inscenavano una contromanifestazione (erano “migliaia” scrive, gonfiando i numeri, l’agenzia filo-governativa Wafa che pnon riporta il presidio anti-Ap). Ad Amman, si è riproposta una scena simile fuori la missione diplomatica dell’Autorità palestinese. Ma questi cortei, fanno sapere gli attivisti, non sono altro che un assaggio delle manifestazioni di domani che dovrebbero aver luogo in più località “sia dentro che fuori la Palestina”.
Indette intanto per oggi nuove manifestazioni di massa lungo le linee tra Gaza e il territorio israeliano in quello che è stato battezzato dai palestinesi come “Venerdì di solidarietà con i feriti”.
Dopo le preghiere islamiche del venerdì migliaia di gazawi dovrebbero raggiungere gli accampamenti di tende allestiti a breve distanza dalle barriere con Israele per ribadire la loro determinazione a spezzare il blocco israeliano.
La tensione è alta: Netanyahu ha avvertito due giorni fa che se i palestinesi invieranno ancora “palloni incendiari” da Gaza verso il territorio israeliano “il pugno di ferro dell’esercito colpirà con potenza…Siamo pronti ad ogni scenario ed è meglio che i nostri nemici lo capiscano e subito”.
Sono 133 i gazawi uccisi dall’esercito israeliano dallo scorso 30 marzo quando sono cominciate nella Striscia le manifestazioni popolari della “Grande marcia del Ritorno”. Oltre 13.000 i feriti. Nena News