L’annuncio è stato fatto ieri sera dopo un vertice al Cairo con ufficiali dell’Intelligence egiziana. Il capo dello Shin Bet israeliano, intanto, annuncia: “La calma in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza è fragile”
di Roberto Prinzi
Roma, 12 settembre 2017, Nena News – Ennesima promessa effimera o qualcosa di più solido e reale? E’ la domanda che nasce spontanea dopo l’apertura ieri di Hamas ad una riconciliazione nazionale con i rivali di Fatah.
L’annuncio è arrivato in serata al termine di un vertice tenuto al Cairo tra una delegazione del movimento islamico (presente anche il suo leader Ismail Haniyeh) e alcuni ufficiali egiziani capeggiati dal ministro dell’Intelligence Khaled Fawzi. In un nota Hamas ha detto di essere pronto a firmare “immediatamente” un accordo con Fatah (il partito del presidente Abbas) e anche a sciogliere la sua commissione amministrativa formata a inizio anno. Una promessa, quest’ultima, di non poco conto: la commissione è infatti duramente criticata dall’Autorità palestinese (Ap) perché ritenuta un governo ombra del tutto indipendente da quello cisgiordano di Ramallah.
Ma le promesse di Hamas non finiscono qui: la leadership islamica ha infatti garantito al Cairo che sarà il nascituro governo di unità nazionale ad assumere il controllo della Striscia e ad indire le elezioni. A patto che, ha precisato, tutte le fazioni palestinesi potranno partecipare alla conferenza del Cairo che eleggerà l’esecutivo nazionale responsabile dell’amministrazione “dell’intero territorio palestinese”, o meglio, di quel che resta di Palestina (Striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est).
Hamas, si legge ancora in una nota ufficiale, ha poi tranquillizzato gli egiziani: nella piccola enclave palestinese nessuno metterà a repentaglio la sicurezza dell’Egitto. Le aperture e le rassicurazioni di Hamas non sono frutto della buona volontà degli islamisti, ma figlie della necessità. Il movimento vive da tempo grosse difficoltà accentuate dalle recenti politiche draconiane dell’Ap contro la popolazione gazawi (taglio dei finanziamenti per gasolio, medicine, salari dei dipendenti pubblici ed ex prigionieri). Il tentativo (finora fallimentare) di Ramallah è palese: rendere sempre più difficili le condizioni di vita nella Striscia – già gravissime a causa del decennale blocco israeliano e, più recentemente, egiziano – nella speranza di una ribellione anti-Hamas da parte della popolazione locale.
La situazione di crisi sta portando Hamas a compiere vere e proprie piroette politiche: ha dapprima riallacciato i contatti con l’Iran interrotti (seppure mai del tutto) dopo aver sostenuto gli oppositori del presidente siriano Bashar al-Asad e le manovre regionali del Qatar. Non sorprende infatti che i toni conciliatori giungano proprio mentre perdura il boicottaggio del piccolo emirato da parte di alcuni stati arabi capeggiati dall’Arabia Saudita. Doha è stata per anni la città che ha ospitato il leader di Hamas Khaled Masha’al ricoprendo il vuoto un tempo occupato dall’asse sciita. Un alleato quanto mai scomodo in questa precisa congiuntura storica.
Recentemente il movimento islamico ha poi provato a migliorare le sue relazioni con il Cairo (tesissime dopo il golpe militare di al-Sisi nel 2013) smarcandosi prima dalla Fratellanza musulmana (“terroristi” per il governo egiziano) e poi aumentando i controlli al confine tra la Striscia e l’Egitto. L’obiettivo è chiaro: uscire dall’isolamento politico in cui versa il suo movimento alleviando le pene della sua popolazione intrappolata nella piccola enclave. Uno dei primi passi potrebbe essere l’apertura del valico di Rafah che potrebbe alleggerire l’asfissiante assedio israeliano.
Resta ora da capire quale sarà la risposta di Ramallah. I toni utilizzati ultimamente dall’Ap non sembrano essere incoraggianti: lo scorso mese Abbas aveva minacciato di prendere non meglio precisate “ulteriori misure” repressive contro Hamas (e quindi contro i gazawi) qualora quest’ultima non avesse rispettato le sue richieste. Fatah vuole essenzialmente tre cose: la fine della commissione amministrativa, la riconsegna del controllo dell’enclave di Gaza all’Autorità palestinese e lo svolgimento di elezioni presidenziali e legislative anche nella Striscia.
Che la situazione a Gaza, e più in generale nei Territori palestinesi, si stia facendo sempre più difficile lo sanno bene anche gli israeliani. Domenica, nel corso di un vertice con il gabinetto alla sicurezza, il capo del servizio di Intelligence interna dello stato ebraico (Shin Bet) Nadav Argaman ha detto che la relativa calma in Cisgiordania e nella Striscia è “fragile”. L’ufficiale ha posto l’attenzione sulla “Giudea e Samaria” (Cisgiordania) dove ha osservato come la sicurezza sia aleatoria perché c’è una “significativa” apprensione per “eventi di carattere religioso” e “un alto livello di allerta per [possibili] attacchi da parte di organizzazioni terroristiche e di singoli”.
Se in Cisgiordania però Argaman ha parlato di situazione “fragile”, per Gaza il capo dello Shin Bet ha preferito utilizzare l’espressione “calma ingannevole” osservando come anche il periodo che aveva preceduto l’offensiva israeliana su Gaza 3 anni fa era stato “il più tranquillo negli ultimi 30 anni”. Nonostante la crisi politica ed economica che si vive nella Striscia, Argaman ha però lanciato l’allarme: Hamas sta continuando a investire soldi in campo militare. “Anche ora il movimento è pronto ad un confronto con Israele”. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir
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