Il Gabinetto di sicurezza ha posto ieri le condizioni per poter iniziare un nuovo processo diplomatico con i palestinesi. Il movimento islamico: “Respingiamo la loro intromissione”. Colata di cemento in Cisgiordania: autorizzate già 1.292 unità abitative questa settimana
di Roberto Prinzi
Roma, 18 ottobre 2017, Nena News – In una nota pubblicata nella serata di ieri, il gabinetto alla sicurezza israeliano ha annunciato le condizioni per poter iniziare un nuovo processo diplomatico con i palestinesi: Hamas, si legge, deve riconoscere lo stato ebraico, porre fine agli atti di terrorismo e interrompere le sue relazioni con l’Iran; deve essere disarmato; devono essere restituiti i corpi dei soldati israeliani e dei civili trattenuti dal gruppo islamista; Gaza deve essere posta sotto il pieno controllo dell’Autorità palestinese (Ap) a partire dai valichi di frontiera dove dovrà essere tassativamente proibito il contrabbando di merci: anche gli aiuti umanitari dovranno passare soltanto attraverso l’Ap. Tel Aviv, inoltre, ha chiesto all’Autorità palestinese di continuare ad agire contro Hamas in Cisgiordania.
Secondo i media israeliani, il gabinetto di sicurezza avrebbe anche autorizzato il premier a prendere misure punitive contro l’Ap nel caso in cui dovesse essere formato un governo d’unità nazionale che non rispetti le imposizioni israeliane. Tra gli atti di rappresaglia, la possibilità di trattenere i soldi da destinare alle casse di Ramallah.
Tuttavia, ha spiegato oggi il ministro all’Istruzione israeliano Naftali Bennet, la coordinazione alla sicurezza con l’Autorità palestinese dovrebbe continuare anche nel caso in cui il governo di unità dovesse includere Hamas. “La sostengo in Giudea e Samaria [Cisgiordania. Ndr]. E’ buono per noi e loro” ha detto alla radio militare il leader di Casa Ebraica. Bennet, nonostante in questi giorni abbia chiesto al governo di tagliere tutti i legami con l’Ap per l’accordo che questa ha trovato con Hamas (l’ha ribattezzata per questo “l’Autorità terrorista”), non ha parlato però di interrompere i legami con Ramallah.
Le richieste israeliane, di fatto, allontanano definitivamente qualunque possibilità di dialogo con la controparte palestinese. Non che gli israeliani ne avessero tanta voglia per la verità: i punti presentati ieri non sono altro che in continuità con l’operato di Netanyahu che ha sempre posto pre-condizioni di difficile attuazione per l’altra parte prima di accettare di sedersi al tavolo delle trattative con i palestinesi (il processo diplomatico è interrotto ufficialmente dal 2014).
Ieri a parlare è stato anche Hamas che ha negato una sua volontà di terminare gli attacchi contro Israele dalla Cisgiordania in cambio dell’implementazione della riconciliazione. “Non ci sono clausole segrete, quello che ha pubblicato l’Occupazione [Israele, ndr] sulla fine della resistenza in Cisgiordania non è vero” ha detto a Quds News Network il portavoce del movimento islamico palestinese, Husam Badran. “La posizione di scegliere di resistere non è collegata ad una persona o entità, ma è piuttosto frutto della decisione dell’intero popolo palestinese. La natura delle cose vuole che, laddove c’è una occupazione, ci sarà una resistenza che l’affronterà”. Hamas ha anche invitato i palestinesi ad ignorare le richieste del gabinetto di sicurezza. “Respingiamo questa intromissione inei nostri affari interni. Il popolo palestinese a tutti i livelli non dovrebbe rispondere a queste ingerenze sioniste” ha spiegato un altro portavoce del movimento, Fawzi Barhoum.
Una fonte anonima di Hamas, raggiunta dal portale israeliano Ynet, avrebbe poi detto che le richieste israeliane di ieri sono “una nuova scusa” per evitare i negoziati. “Sono una giustificazione che mira a portare il [processo di pace] ad un vicolo cieco perché per molti anni Israele non ha voluto un collegamento [diretto] tra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. L’interesse israeliano è quello di tenerle separate”.
La precondizioni di Tel Aviv sono state respinte anche dall’Ap perché “le sue osservazioni non cambieranno la nostra posizione ufficiale che è quella di andare avanti” ha detto il portavoce del presidente palestinese Abbas, Nabil Abu Rudeineh. “Quanto è stato concordato al Cairo sotto gli auspici egiziani – ha aggiunto – vuol dire muoversi verso ciò che è giusto, verso la fine delle divisioni” perché la riconciliazione tra i due principali partiti è “un interesse nazionale supremo”.
Abu Rudeineh ha poi condannato la nuova colata di cemento che il governo Netanyahu ha autorizzato questa settimana spiegando che i nuovi provvedimenti rappresentano una violazione delle risoluzioni di sicurezza dell’Onu, in particolare della 2334. Questa mozione, passata lo scorso dicembre, impone allo stato ebraico di “fermare immediatamente e completamente tutte le attività nelle colonie dei Territori occupati palestinesi e di Gerusalemme est”.
L’organismo del ministero della difesa responsabile di costruire negli insediamenti ha infatti presentato ieri piani per edificare 1.292 unità abitative in Cisgiordania. Di queste, 562 sono fuori dal “blocco degli insediamenti” che Israele ha detto di voler mantenere in qualunque accordo di pace con i palestinesi. Si aggiungano poi le 296 case messe in vendita nella colonia di Beit El e i permessi accordati lunedì per 31 case a Shuhada Street, la strada fantasma nel cuore di Hebron. Non paga, nel suo terzo incontro della settimana fissato per domani, la sottocommissione dell’Amministrazione civile dovrebbe dare l’ok ad altre 650 abitazioni nei Terrritori occupati palestinesi.
Nella notte, intanto, i soldati israeliani hanno compiuto vari blitz in diversi uffici televisivi e aziende di produzione palestinesi in Cisgiordania. Sequestrate le attrezzature e, in alcuni casi, chiuse le reti. Migliori le notizie che riguardano Gaza: l’esercito israeliano ha fatto sapere che a partire da oggi fino a dicembre sarà estesa l’area di pesca (dalle 6 miglia nautiche a 9) nella parte meridionale della Striscia. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir