Ieri durante il Consiglio di Fatah il presidente ha dissolto l’attuale esecutivo per incapacità nel risolvere la crisi di Gaza e annunciato un nuovo governo. Ma la responsabilità, secondo Ramallah, è di Hamas. Dietro, un matrimonio d’interesse e non d’amore.
della redazione
Gerusalemme, 17 giugno 2015, Nena News – Il presidente palestinese Mahmoud Abbad, durante il 15esimo Consiglio Rivoluzionario di Fatah ha annunciato le dimissioni dell’attuale governo di tecnici (formato dopo l’accordo di unità nazionale con Hamas un anno fa) e la formazione di un nuovo esecutivo.
La notizia è trapelata ieri sera: alcuni funzionari del partito di governo ne hanno parlato alla stampa. Ci sarebbero anche i tempi: entro 24 ore il governo Hamdallah andrà a casa, in pochi giorni nascerà un esecutivo del tutto nuovo. La causa è, apparentemente, Gaza: l’incapacità dell’attuale esecutivo di risolvere la crisi della Striscia, in particolare la questione degli stipendi ai dipendenti pubblici assunti da Hamas dopo la presa del potere nel 2007.
Da tempo il movimento islamista, governo de facto di Gaza, denunciava la lentezza dell’Autorità Palestinese di Ramallah: pochi giorni fa il vice di Hamas, Ismail Haniyeh, parlava in pubblico dei mancati progressi economici e umanitari nella Striscia, ancora devastata dall’attacco israeliano del luglio-agosto 2014. E proprio la questione Gaza è stata affrontata ieri sera durante il Consiglio di Fatah, trasformandosi nella giustificazione alla fine dell’attuale governo: “Il governo si dimetterà entro 24 ore perché è debole e non c’è possibilità che Hamas lo lasci lavorare a Gaza”, ha detto il segretario generale Amin Maqbul.
Il portavoce del governo, Ihab Bseiso, ha aggiunto che oggi si terrà un incontro tra il premier Hamdallah e il presidente Abbas “per discutere del lavoro del nuovo esecutivo”.
Alla crisi di Gaza si aggiunge però l’altro grande fallimento del governo di unità: portare i Territori Palestinesi alle tanto anelate elezioni nazionali. Le ultime si tennero nel 2006 e videro la vittoria di Hamas, che aprì la strada alla faida interna tra i due partiti palestinesi, allo scontro armato nella Striscia e alla cacciata di Fatah da Gaza. E a 7 anni di rottura completa tra le due fazioni.
Da allora di elezioni si è discusso tanto ma non sono mai state organizzate, con entrambe le parti che accusavano il rivale di ostacolare il normale processo democratico. Alla base sta però una debolezza interna difficilmente sovrastabile: la riconciliazione tra Hamas e Fatah è un matrimonio di interesse, non certo d’amore. Nessuna delle due fazioni è stata spinta all’accordo di unità da un’effettiva volontà di lavorare insieme per sostenere un popolo sotto occupazione, ma da meri interessi personali e calcoli interni.
A Fatah serviva di riguadagnare il consenso perduto tra la popolazione, che sempre di più accosta il partito dell’ex leader Arafat agli interessi sia dell’Autorità Nazionale Palestinese che del potere occupante Israele. Ad Hamas serviva di uscire dall’isolamento regionale in cui era stato trascinato dalla sconfitta dell’Islam politico dei Fratelli Musulmani in Egitto: con la deposizione di Morsi e l’allontanamento dei Fratelli Musulmani, il movimento – che aveva goduto di una nuova legittimazione proprio per la vicinanza al Cairo della Fratellanza – è sprofondato in una grave crisi economica e politica che ha generato non poche frustrazioni nella popolazione gazawi.
Con la fine del governo di unità nazionale, Maqbul ha annunciato il via alle consultazioni per il suo nuovo esecutivo, senza specificare la partecipazione di Hamas. Che alla fine è il capro espiatorio di Fatah: ieri la dissoluzione dell’esecutivo è stata imputata sì al fallimento a Gaza, ma attribuendone la colpa agli islamisti. Nena News
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