La decisione di sciogliere il governo è figlia delle notizie di una trattativa tra Tel Aviv e il movimento islamico, che isolerebbero ancora di più l’Anp. Hamas smentisce.
AGGIORNAMENTO ore 11 – HAMAS INCONTRA I PARTITI PALESTINESI A GAZA E SMENTISCE LA TRATTATATIVA CON ISRAELE
Ieri sera il movimento islamista ha incontrato i rappresentanti di varie fazioni politiche palestinesi (Fronte Popolare, Fronte Democratico, Jihad Islamica e Ppp) a Gaza. Dopo il meeting Saleh Zeidan, del Fronte Democratico, ha fatto sapere alla stampa che Hamas ha negato qualsiasi trattativa segreta con Israele perché avrebbe “conseguenze drammatiche” e favorirebbe solo i piani israeliani di separare Gaza dal resto della Palestina.
La notizia di un dialogo mediato dal Qatar era stata data martedì da una fonte anonima interna al movimento, secondo la quale Hamas e Tel Aviv starebbero discutendo di una tregua di lungo periodo. Contatti confermati da una fonte israeliana, che li ha definite informali.
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di Michele Giorgio – Il Manifesto
Gerusalemme, 18 giugno 2015, Nena News – È azzardato parlare di dimissioni di un esecutivo «nazionale» che, in verità, non ha mai governato tutti i palestinesi di Cisgiordania e di Gaza. In ogni caso l’intenzione annunciata l’altra sera dal presidente dell’Anp Abu Mazen (a un vertice di Ramallah) di dimissionare il «governo di consenso», con Hamas e Fatah insieme, nato un anno fa, amplifica la crisi nei rapporti tra le due principali forze politiche palestinesi. A danno delle aspirazioni del popolo palestinese sotto occupazione israeliana.
Senza alcun dubbio la mossa di Abu Mazen è anche una risposta alle voci insistenti di trattative segrete, con la mediazione del Qatar, tra Israele e Hamas per una tregua di alcuni anni, non firmata e non dichiarata apertamente. Negoziati segreti guardati a dir poco con sospetto da Abu Mazen. Nei disegni del governo Netanyahu, piuttosto evidenti, gli accordi con Hamas per il mantenimento della calma e, di conseguenza, dello status quo a Gaza, significano un maggior isolamento del presidente palestinese e il rinvio sine die di ogni residua ipotesi di trattativa Israele-Anp.
Abu Mazen tuttavia non può attribuire ad Hamas la responsabilità esclusiva del mancato allargamento a Gaza dei poteri del governo di consenso nazionale. Certo il movimento islamico non ha mai manifestato un sincero desiderio di compromesso con Fatah e l’Anp sulla gestione della sicurezza nella Striscia di Gaza, che dal 2007 è affidata all’esclusivo controllo delle Brigate Ezzedin al Qassam, il braccio armato di Hamas. Allo stesso tempo non si è mai compreso del tutto cosa abbia impedito al governo del premier Rami Hamdallah di operare anche a Gaza. Quelle rare volte che i ministri palestinesi sono giunti nella Striscia, sono poi ripartiti subito per la Cisgiordania lamentando intimidazioni vere o presunte da parte degli uomini di Hamas.
A ben vedere è mancata la volontà di Abu Mazen di risolvere i nodi che hanno impedito e impediscono una vera riconciliazione tra le due formazioni palestinesi. Differenze che oggi non sono più soltanto ideologiche o strategiche ma sono legate più di tutto al mantenimento del potere e a questioni economiche.
L’Anp non ha mai offerto una soluzione giusta alla questione dei dipendenti pubblici di Gaza (circa 40 mila) rimasti senza lavoro e reddito dopo lo scioglimento del governo di Hamas, guidato da Ismail Haniyeh, in seguito alla formazione dell’esecutivo di unità nazionale un anno fa. Ciò mentre oltre 20 mila abitanti di Gaza, dipendenti pubblici del governo dell’Anp, rimasto in carica fino al 2007, continuano a percepire lo stipendio senza lavorare da ben otto anni. La mediazione offerta dalla sinistra, in particolare dal Fronte Popolare, è stata ignorata da Abu Mazen e dal vertice di Hamas.
Altro punto è il controllo dei tre valichi che dividono Gaza da Israele e Egitto. Dopo l’offensiva «Margine Protettivo» della scorsa estate, l’Anp proclamò l’intenzione di gestire i varchi per «rassicurare la comunità internazionale» che rifiuta (su pressione di Israele e Usa) di avere contatti con Hamas e permettere così un più veloce ingresso dei materiali per la ricostruzione di Gaza. Da allora Hamas e l’Anp si accusano a vicenda. Per l’Anp il movimento islamico rifiuta di cedere il controllo dei valichi, per Hamas è l’Anp a non assumersi le sue responsabilità ponendo come precondizione l’assenza ai terminal di impiegati vicini al movimento islamista.
Hamas intanto nega la trattativa segreta con Israele, così non si riesce a comprendere se ad alimentare le indiscrezioni sia solo il desiderio della popolazione di Gaza o uno sviluppo diplomatico concreto. Di certo c’è solo l’improvvisa partenza per il Qatar del numero 2 di Hamas, Musa Abu Marzuk, indicato dal quotidiano palestinese al Quds come colui che starebbe esaminando una proposta di Doha per una tregua prolungata con Israele in cambio di un porto galleggiante a Gaza (sotto controllo straniero, di fatto israeliano).
La sensazione è che dietro le quinte qualcosa si stia muovendo. L’Egitto, nemico giurato di Hamas, ha riaperto per alcuni giorni il valico di Rafah fra la Striscia e il Sinai e per la prima volta da tempo, ha autorizzato l’ingresso a Gaza di cemento per la ricostruzione. E l’ala militare di Hamas assume un ruolo di spicco nel pattugliamento e difesa delle linee tra la Striscia e Israele in modo da impedire i lanci di razzi da parte dei gruppi salafiti, contribuendo di fatto alla sicurezza del «nemico».
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