Le fasi evolutive del coordinamento alla sicurezza. Alaa Tartir spiega cosa è accaduto dal 1993 ad oggi e i suoi effetti distruttivi nella società e nella politica in Cisgiordania
di Alaa Tartir – Al Shabaka
Ramallah, 18 maggio 2017, Nena News – Fin dalle origini il sistema di sicurezza dell’Autorità Palestinese (Anp) ha fallito nel proteggere i palestinesi dalla principale fonte di insicurezza: l’occupazione militare israeliana. Né li ha messi in condizione di resistere a quell’occupazione. Al contrario, l’Anp ha contribuito alla situazione nella quale la lotta palestinese per la libertà è stata essa stessa criminalizzata.
Invece di riconoscere la resistenza come naturale risposta all’oppressione istituzionalizzata, l’Anp in tandem con Israele e la comunità internazionale, definisce la resistenza come “insurrezione” o “instabilità”. Tale retorica, che va a favore della sicurezza israeliana a spese dei palestinesi, fa eco al discorso che circonda la “guerra al terrore” e criminalizza ogni forma di resistenza.
Questa dinamica può essere individuata negli Accordi di Oslo del 1993 ma è stata galvanizzata nell’ultimo decennio attraverso l’evoluzione dell’Anp in Stato gestito dai donatori che sposa le politiche neoliberali. La riforma imposta dai donatori del settore della sicurezza è stata il fulcro del progetto di costruzione dello Stato post-2007. La migliorata efficienza delle forze di sicurezza dell’Anp come risultato del massiccio investimento straniero ha creato ulteriori metodi di protezione dell’occupante israeliano, generando spazi “securizzati” all’interno dei quali l’occupante può muoversi liberamente per portare avanti il progetto coloniale.
Tale sviluppo può avere solo due risultati: “migliore” collaborazione con il potere occupante che puntella un distruttivo status quo; e maggiori violazioni della sicurezza e dei diritti nazionali dei palestinesi da parte del loro stesso governo e delle forze di sicurezza nazionali.
Questo articolo intende analizzare l’evoluzione e la “riforma” delle forze di sicurezza palestinesi dalla fondazione dell’Anp, il coordinamento alla sicurezza palestinese-israeliano e i suoi effetti deleteri sulla capacità palestinese a resistere le forze di occupazione israeliane. Si focalizza sulle forze dell’Anp in Cisgiordania e non sulla situazione di Gaza che richiede una ricerca ed un’analisi separate. Termina con raccomandazioni politiche per reinventare le operazioni di sicurezza dell’Anp e ristrutturare le sue forze così che possano davvero servire il loro popolo.
L’ascesa delle forze di sicurezza dell’Anp
L’evoluzione delle forze di sicurezza dell’Anp può essere divisa in tre fasi: gli Accordi di Oslo (1993-1999), la Seconda Intifada (2000-2006) e il progetto di costruzione dello Stato post-2007.
Gli Accordi di Oslo sono stati caratterizzati da due progetti paralleli e conflittuali: la costruzione dello Stato e la liberazione nazionale. Il primo implicava la costruzione di istituzioni su un modello statale e di una burocrazia (subito pomposa) sotto occupazione, mentre il secondo intendeva portare avanti il programma rivoluzionario per l’autodeterminazione adottato dall’Olp.
La tensione tra i due progetti si manifestò già sotto la presidenza dell’allora leader Yasser Arafat. La personalizzazione della governance da parte di Arafat e la conseguente rete di corruzione e clientelismo hanno fatto sì che l’evoluzione delle forze di sicurezza dell’Anp non fosse né inclusiva né trasparente. Al contrario, fu carica di nepotismo e usata come messo per minacciare gli oppositori di Oslo e stabilizzare la popolazione.
Inoltre ha solidificato i nascenti accordi di “pace”. Le 9mila reclute nella “forte polizia” immaginata negli Accordi del Cairo del 1994 sono diventate 50mila nel 1999. Questa proliferazione di forze di sicurezza – che si spiano a vicenda, come disse una volta Edward Said – ha avuto conseguenze gravi per i palestinesi. La creazione da parte di Arafat di strutture politiche dettate dalla sicurezza ha alimentato l’autoritarismo e bloccato i meccanismi di controllo nel sistema politico palestinese.
Ciò ha condotto ad una penuria di legittimazione e ad una maggiore insicurezza tra i palestinesi. Mentre la struttura della sicurezza cresceva in numeri e istituzioni, i palestinesi restavano scarsamente protetti e corruzione e nepotismo diventavano endemici. L’approccio del divide et impera ha pavimentato la strada della futura frammentazione palestinese.
Durante la seconda Intifada, Israele ha distrutto l’infrastruttura della sicurezza dell’Anp perché le sue forze presero parte alla sollevazione. Questo ha creato un vacuum nel quale attori esterni all’Anp si sono inseriti con risultati diversi per i palestinesi. Si è esacerbata la competizione palestinese e i donatori esterni, l’Anp e Israele sono diventati ancora più interessati a costruire un settore della sicurezza forte e dominante.
Nel giugno 2002 l’Anp ha annunciato il suo Piano di Riforma in 100 giorni. Nel 2003 la road map ha chiesto che “un apparato di sicurezza dell’Anp ricostruito e rifocalizzato” confrontasse “tutti coloro impegnati nel terrore” e smantellasse “le infrastrutture del terrore”. Le forze erano costrette a combattere il terrorismo e individuare sospetti; incitamento fuorilegge; raccolta di armi illegali; fornitura a Israele della lista delle reclute della polizia palestinese; e report dei progressi agli Stati Uniti.
Di conseguenza, la riforma della sicurezza palestinese “è rimasta un processo controllato dall’esterno, guidato dagli interessi nazionali di Israele e Stati Uniti e caratterizzato da una partecipazione della società palestinese molto limitata”.
La comunità internazionale dei donatori ha gestito la riforma del 2005 attraverso la creazione dell’European Union Coordinating Office for Palestinian police support (Eupol Copps) e dell’United States Security Coordinator (Ussc). Questa situazione continua tuttora, nella forma della strategia “una pistola, una legge, un’autorità” attraverso la quale il monopolio Anp della forza e della violenza è assicurato.
Il progetto di costruzione dello Stato post-2007 sotto l’Anp puntava, soprattutto tramite Eupol Copps e Ussc, a reinventare le forze di sicurezza palestinese attraverso strumenti tecnici come addestramento e rifornimento di armi. Puntava anche a ridefinire le forze politicamente, limitando Hamas e il suo braccio militare, mettendo un freno ai militanti alleati di Fatah attraverso la cooptazione e l’amnistia, colpendo criminali e conducendo campagne di sicurezza in particolare a Nablus e Jenin.
Le forze sono diventate note come forze di Dayton in referimento a Keith Dayton, il generale statunitense che ha guidato il processo di “professionalizzazione e modernizzazione” della struttura militare dell’Anp. Organizzazioni per i diritti umani locali e internazionale hanno accusato queste forze riformate di violazioni dei diritti umani e repressione delle libertà.
L’attuale fase ha inoltre rafforzato il predominio degli interessi securitari di Israele a spese dei palestinesi. Disarmo e criminalizzazione hanno compromesso la resistenza popolare contro l’occupazione, comprese marce e manifestazioni pacifiche, la difesa contro le violazioni dei diritti umani da parte di Israele e l’attivismo studentesco.
Oggi, le forze di sicurezza dell’Anp proteggono per lo più la sicurezza dell’occupante e non quella dell’occupato. In breve la sicurezza dei palestinesi è stata messa a repentaglio perché la loro stessa leadership è stata resa subappaltatrice della loro repressione. L’agenda di riforma post-2007 ha impedito la lotta nazionale palestinese, il movimento di resistenza e la sicurezza quotidiana e ha minato il funzionamento della politica palestinese.
Il coordinamento alla sicurezza come dominio
Per capire la magnitudo del coordinamento alla sicurezza è utile notare che il settore della sicurezza palestinese dà lavoro alla metà di tutti i dipendenti pubblici, rappresenta circa un miliardo di dollari del budget dell’Anp e riceve il 30% degli aiuti internazionali. Consuma più budget di educazione, sanità e agricoltura messi insieme.
Conta 83.276 impiegati tra Cisgiordania e Gaza, compresi 312 generali dei quali 232 legati all’Anp e 80 ad Hamas. Per fare un confronto l’intero esercito americano ha 410 generali. Il rapporto di personale della sicurezza rispetto alla popolazione è di 1 a 48, uno dei più alti al mondo.
Il coordinamento alla sicurezza tra Israele e Anp ha raggiunto gli obiettivi di Oslo di istituzionalizzare le intese per la sicurezza e di lanciare un processo di pace strettamente controllato dalla polizia così da permettere a Israele di realizzare le sue ambizioni coloniali mentre parla di pace.
Il processo di “pace securizzata” si manifesta in diversi modi: l’arresto da parte dell’Anp di palestinesi ricercati da Israele (come il recente caso di Basil al-‘Araj, arrestato e rilasciato dall’Anp solo per venire inseguito e poi assassinato dagli israeliani); la repressione delle proteste palestinesi contro soldati e/o coloni israeliani; la condivisione di intelligence tra esercito israeliano e forze palestinesi; la porta girevole tra i carceri israeliani e palestinesi dove gli attivisti si trovano di fronte alle stesse accuse; e i regolari meeting, workshop, addestramenti congiunti.
Sebbene il presidente Mahmoud Abbas abbia minacciato di sospendere il coordinamento, allo stesso tempo ha dichiarato che si tratta di “un interesse nazionale palestinese” e di una dottrina “sacra”. Le attività delle forze di sicurezza e le manovre politiche di Abbas hanno naturalmente creato un profondo gap nella fiducia tra popolo palestinese e Anp.
Ed infatti molti sondaggi durante gli anni hanno mostrato come la maggioranza dei palestinesi in Cisgiordania e a Gaza (tra il 60% e l’80%) si oppone al coordinamento alla sicurezza con Israele. A marzo 2017 in un sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey, due terzi degli intervistati ha chiesto le dimissioni di Abbas con il 73% che ha espresso la convinzione che Abbas non sia serio nelle minacce di sospensione del coordinamento con Israele.
In un sondaggio di Maan News Agency del 2010, il 78% degli intervistati ha detto di credere che le forze di sicurezza dell’Anp sono impegnate nella sorveglianza, il monitoraggio e l’intervento nella privacy dei singoli. Infine, secondo Visualizing Palestine, il 67% dei palestinesi della Cisgiordania sente di vivere in un sistema non democratico che opprime le libertà in larga parte come risultato del dominio della sicurezza.
(continua)
Traduzione a cura della redazione
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