La dipendenza dagli aiuti ha tolto al popolo palestinese il potere di resistere a colonialismo, apartheid e oppressione. È tempo di dire addio al modello fallimentare di Oslo
di Alaa Tartir* – Middle East Eye
* (Traduzione di Elena Bellini)
Roma, 2 gennaio 2018, Nena News – Visto che gli USA minacciano insistentemente di tagliare gli aiuti all’Autorità Palestinese (PA), e per gli aiuti norvegesi e danesi vengono poste sempre più condizioni, è tempo che i politici palestinesi intraprendano le azioni e i passi necessari a cambiare rotta e dire addio al modello fallimentare di Oslo. Né il modello degli Accordi di Oslo, né i miliardi di aiuti riversati in Palestina avvicinano i palestinesi alla libertà, all’autodeterminazione o alla sovranità nazionale, o assicurano uno sviluppo sostenibile. Piuttosto avviene esattamente il contrario.
Dipendenza dagli aiuti
Il flusso di aiuti negli anni ha portato a un radicamento della dipendenza da tali aiuti e ha aggravato le carenze strutturali e le distorsioni dell’economia palestinese, il che toglie al popolo palestinese il potere di resistere a colonialismo, apartheid e oppressione.
Nonostante l’evidente fallimento del sistema degli aiuti nell’apportare cambiamenti significativi, positivi e duraturi nella vita dei palestinesi, gli attori principali dell’industria degli aiuti non hanno la volontà né l’interesse di affrontare il problema alla radice, e la saggezza convenzionale dell’industria degli aiuti continua a dettare le regole.
Secondo lo schema della saggezza convenzionale, gli USA decidono, la Banca Mondiale guida, l’Unione Europea paga, l’ONU foraggia e Israele distrugge. Dire addio al modello fallimentare di Oslo richiede la creazione di una nuova equazione, una formula in cui i palestinesi siano al comando e in cui affidabilità, trasparenza ed efficacia occupino il posto centrale. In caso contrario, i miliardi di aiuti continueranno a causare danni e a sostenere lo status quo deleterio che nega i diritti umani e i diritti dei palestinesi.
Principali beneficiari
Quindi, dopo un quarto di secolo di eccessiva dipendenza, è opportuno prendere in esame alcune tendenze degli aiuti e le prove quantitative esistenti, come il mio collega Jeremy Wildeman ed io abbiamo fatto in una recente relazione (clicca qui per accedere al testo completo). Secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD), tra il 1993 e il 2016 sono stati investiti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza oltre 35 miliardi di dollari in aiuti.
Di questi, circa 24 miliardi (il 70% degli aiuti totali) sono stati stanziati tra il 2006 e il 2016, con una media di 2,2 miliardi all’anno, 560 dollari pro capite all’anno. Queste cifre fanno dei palestinesi uno dei principali beneficiari di aiuti non militari pro capite al mondo. Secondo l’OECD, negli ultimi cinque anni, i primi 12 donatori per la Palestina hanno provveduto a circa l’89% del totale degli aiuti. I primi sei donatori sono USA, Unione Europea, UNRWA (Agenzia ONU per il soccorso e l’occupazione dei Rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente), Norvegia, Germania e Gran Bretagna, che forniscono insieme il 70% degli aiuti.
Inoltre, secondo i resoconti finanziari del Ministero dell’Economia dell’Autorità palestinese, tra il 2012 e il 2016 l’Autorità palestinese ha ricevuto circa 4.481 miliardi di dollari, di cui il 39% da donatori arabi e il 61% da donatori non arabi. Secondo i dati raccolti dal Ministero dell’Economia dell’Autorità palestinese, i quattro principali donatori sono l’Unione europea (981milioni di dollari), l’Arabia Saudita (908 milioni), fondi erogati tramite la Banca Mondiale (872 milioni) e gli USA (477 milioni).
Maggiori donatori
Gli aiuti da parte dell’Unione europea, esclusi quelli assicurati da accordi bilaterali con gli Stati membri, ammontano a 5.964 miliardi dal 2000 al 2015. Il 43% degli aiuti da parte delle istituzioni europee in questo periodo (2000-2015) è stato erogato come supporto economico diretto all’Autorità palestinese, il 31% all’UNRWA e il 10% in aiuti umanitari.
Secondo l’Unione europea, e oltre alla Norvegia, i primi cinque donatori europei tramite accordi bilaterali con l’Autorità palestinese e i palestinesi tra il 2012 e il 2014 sono stati la Germania (378,9 milioni), il Regno Unito (314,6 milioni), la Francia (195,5 milioni) e la Danimarca (98,5 milioni). Relativamente ai tre Stati (Stati Uniti, Danimarca e Norvegia) che minacciano di utilizzare la carta degli aiuti internazionali per aumentare la pressione sui palestinesi, ecco la loro documentazione.
Secondo le statistiche del NORAD (Agenzia norvegese per la Cooperazione allo Sviluppo), gli aiuti della Norvegia ai Territori Palestinesi Occupati (OPT) si attestano intorno ai 77 milioni annui tra il 2011 e il 2016. Quasi la metà di questi aiuti è stata stanziata come supporto economico diretto all’Autorità Palestinese, e il 21% al settore del buon governo. Il 63% circa è stato gestito da organizzazioni multilaterali (principalmente la Banca Mondiale) e il 22% da organizzazioni non governative norvegesi (principalmente il Norwegian Refugee Council, la Croce Rossa norvegese e il Norwegian People’s Aid). Per quanto riguarda la Danimarca, secondo le statistiche del DANAID (Agenzia per lo Sviluppo Internazionale danese), i suoi aiuti ai Territori Occupati ammontano a circa 25 milioni all’anno tra il 2012 e il 2017.
Il totale degli aiuti danesi ai Territori Occupati sta scendendo dal 2013, in particolare nel 2016 sono stati spesi solo 5,5 milioni in aiuti. Gli aiuti danesi vengono erogati principalmente attraverso la Banca Mondiale, l’Unione europea e, più recentemente, attraverso società di consulenza internazionali.
Sostegno supplementare a Israele
Per concludere, il sostegno economico degli USA è fondamentalmente e intrinsecamente un problema, e l’USAID (Agenzia degli Stati uniti per lo Sviluppo Internazionale) agisce come braccio destro dell’occupazione coloniale israeliana, direttamente e indirettamente.
Da una prospettiva critica, si potrebbe dire che il sostegno americano ai palestinesi è effettivamente un sostegno supplementare a Israele e alla sua protezione. Secondo la banca dati di Foreign Assistance, gli aiuti statunitensi ai palestinesi tra il 2012 e il 2017 ammontano a circa 1,8 miliardi di dollari (il totale previsto si aggira intorno ai 2,3 miliardi) con stanziamenti annui medi di 300 milioni (la media annua pianificata ammonta a 385 milioni).
A prescindere dalle dimensioni quantitative del flusso di aiuti, la realtà dei fatti e gli indicatori socio-economici conducono ad una conclusione ovvia: è tempo di dire addio al modello fallimentare di Oslo. Un quarto di secolo è abbastanza per trarre molteplici insegnamenti, ma uno è particolarmente rilevante: il flusso di aiuti, per quanto imponente diventi, non sarà mai efficace se continua ad essere riversato nel quadro politico ed economico distorto e asimmetrico degli accordi di Oslo.
Il paradigma dello sviluppo in Palestina deve urgentemente cambiare: bisogna passare dal modello che considera lo sviluppo secondo un approccio tecnocratico, apolitico e “neutrale” a un modello che riconosca le strutture di potere e le relazioni di dominio coloniale e che guardi allo sviluppo come processo legato alla lotta per i diritti, la resistenza e l’emancipazione.
Dr. Alaa Tartir è direttore editoriale di Al-Shabaka – The Palestinian Policy Network e ricercatore associato al CCDP (Centro su Conflitti, Sviluppo e Peacebuilding) presso il Graduate Institute of International and Development Studies (IHEID) di Ginevra, Svizzera.
Twitter: @alaatartir
Pubblicazioni: www.alaatartir.com
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