Le proteste per Gerusalemme capitale d’Israele non si spengono. Da ore si registrano scontri in Cisgiordania e Gaza. Manifestazione anche a Sakhnin (Israele)
AGGIORNAMENTI:
ore: 18:20 GUARDA VIDEO di Idhat Hayyat. Uccisione del palestinese Mohammed Amin Aqal (18 anni). Nelle immagini si vede come la vittima non rappresentasse più alcun tipo di pericolo per i soldati
Poco prima di essere colpito dalle pallottole dell’esercito, Aql (18 anni) aveva accoltellato un soldato israeliano ferendolo leggermente.
Una delle vittime di oggi, il 29enne Ibrahim Abu Thrya. (Foto: Ma’an)
ore 18:15 Sale a quattro il numero dei palestinesi uccisi oggi dall’esercito israeliano. I loro nomi: Ibrahim Abu Thuraya e Yusef Sukkar a Gaza, Bassel Mustafa Mohamed Ibrahim ad Anata e infine Mohammed Aql
La prima vittima è Mohammed Amin Aql (18 anni). Aql ha accoltellato in mattinata un soldato israeliano (ferendolo leggermente) prima di essere giustiziato dai soldati israeliani.
Basel Mustafa Mohammed Ibrahim (29 anni), invece, ha perso la vita nel corso degli scontri con i militari israeliani nei pressi di Anata (nord di Gerusalemme).
La terza vittima è Ibrahim Abu Thrya (29 anni): il giovane, su una sedie a rotelle perché privo delle gambe, è stato ucciso con un colpo di proiettile alla testa.
La quarta vittima è Yasser Sukkar del quartiere Shujaiyyeh di Gaza.
ore: 17:10 – Fonti palestinesi: 270 i palestinesi feriti finora nelle proteste di oggi
ore: 17:00 al-Jazeera: “Ucciso un terzo palestinese a sud di Ramallah negli scontri con le forze armate israeliane”
ore: 16:05 Ancora a Gaza la seconda vittima: si chiamava Ibrahim Abu Tburaya 29 anni
ore: 15:40 Un palestinese ucciso a Gaza. Si chiamava Yasser Sokkar (32 anni)
Secondo le prime informazioni, sarebbe stato colpito alla testa da un proiettile sparato dai soldati israeliani.
ore: 15:30 Salgono a 111 i feriti tra Striscia di Gaza e Cisgiordania
ore: 15:05 – Il portavoce della ministero della salute palestinese fa sapere che il palestinese che ha compiuto oggi l’attacco contro un soldato israeliano è in condizioni gravi, ma ancora vivo
ore 15:00 – Mezzaluna palestinese: “96 feriti nella Striscia di Gaza, 38 a causa di pallottole vere”. Scontri a Nablus e al Bireh (Ramallah)
Migliaia di palestinesi stanno manifestando a Saknin (in Israele) contro la decisione di Trump. Scontri ad al-Bireh (Ramallah) e a Nablus. Ad al-Bireh, Palestine Tv sostiene che sono 11 i feriti
ore 13:50 Ucciso un palestinese a Ramallah. Tel Aviv: “No, ferito gravemente, indossava una cintura esplosiva e aveva accoltellato un poliziotto”
Secondo fonti palestinesi, un palestinese sarebbe stato ucciso poco fa a Ramallah durante gli scontri con la polizia israeliana. Diversa la versione fornita da Tel Aviv, l’uomo, con addosso una cintura esplosiva, aveva accoltellato alla spalla un ufficiale della polizia israeliana di confine ferendolo leggermente. A quel punto la polizia avrebbe risposto all’aggressore sparandolo. Secondo i media israeliani, sarebbe in gravi condizioni ma ancora in vita. Gli agenti fanno sapere che stanno investigando se quella che aveva con sé fosse o meno una vera bomba
ore 13:25 Palestinesi protestano nella Città Santa contro la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme capitale d’Israele (Video di Nena News)
ore 12:20 Proteste in Città Santa. Manifestanti: “Gerusalemme è araba” (Video Nena News)
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di Michele Giorgio il Manifesto
Gerusalemme, 15 dicembre 2017, Nena News – L’annuncio del rinvio “di alcuni giorni” della visita del vice presidente americano Mike Pence in Israele e in Egitto – per motivi legati al voto al Senato Usa sulla riforma fiscale, in realtà per non esarcerbare le proteste palestinesi e arabe contro gli Usa – è giunto mentre in Cisgiordania e a Gaza la tensione registrava un’impennata. Le nuove manifestazioni palestinesi ieri sono andate avanti per ore a Burin (Nablus), a Kaddouri (Tulkarem) e ancora a Bet El, il transito orientale di Ramallah sotto il controllo dell’esercito israeliano. Una settantina i feriti palestinesi, la maggior parte a Tulkarem. Le truppe israeliane si sono lanciate inoltre in raid in due università palestinesi, Al-Quds e Bir Zeit, per confiscare “materiale sovversivo”. L’epicentro comunque resta Gerusalemme, dove ieri sono ripresi i sit-in palestinesi alla Porta di Damasco. Dal giorno dell’annuncio fatto da Donald Trump su Gerusalemme capitale di Israele,gli arresti di palestinesi nella zona Est della città sono stati 77. Oggi, venerdì delle preghiere, sarà un’altra “giornata della rabbia” palestinese a Gerusalemme, come in Cisgiordania e a Gaza.
Proprio a Gaza il clima si è fatto più cupo. Si sta facendo più concreta la possibilità di una offensiva militare israeliana. I lanci di razzi da Gaza – che sino ad oggi non hanno causato danni sull’altro lato del confine – danno fiato alle trombe della guerra in Israele. I bombardamenti aerei si stanno intensificando ma non bastano a Tamir Idan, il presidente del Consiglio regionale del Negev, che ha chiesto al governo Netanyahu di attaccare con forza anche se ciò conducesse a un’escalation. «Ci aspettiamo che lo Stato – ha detto Idan – risponda a piena forza contro il cosiddetto ‘stillicidio’». A lanciare i razzi non è Hamas ma alcune fazioni armate più piccole, come le Brigate dei Martiri di al Aqsa (Fatah), il Jihad islami e i Comitati di resistenza popolare.
Il movimento islamico, ci spiegava ieri un giornalista di Gaza, «in questo momento così delicato non può impedire alle milizie di altre formazioni di esprimere rabbia per quanto ha deciso Trump su Gerusalemme». Hamas ieri ha celebrato con un raduno di migliaia di attivisti e simpatizzanti il 30esimo anniversario della sua fondazione. Il leader, Ismail Haniyeh ha parlato di un milione di palestinesi pronti a combattere per Gerusalemme. Rivolgendosi ad Abu Mazen, Haniyeh ha confermato l’impegno del suo movimento per la riconciliazione.
Donald Trump aveva certamente tenuto conto delle conseguenze del riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. Le ha valutate per mesi ma è stato tradito dall’ansia di compiacere subito l’alleato Benyamin Netanyahu. Perlatro non è difficile immaginare le pressioni che il premier israeliano ha fatto per ottenere quel riconoscimento su una Amministrazione americana dove non si contano gli amici di Israele. Forse la Casa Bianca comincia a rendersi conto di essere isolata e bersaglio di critiche e condanne che arrivano non solo dal mondo arabo e islamico ma anche dai partner europei. Da qui il rinvio della partenza di Pence. Il passaggio al Senato Usa della riforma fiscale senza dubbio è rischioso per l’Amministrazione Trump avendo i Repubblicani una maggioranza risicata. Ma il motivo vero della partenza rinviata del vice presidente sono le proteste palestinesi e le reazioni arabe, islamiche e cristiane.
Il successo del summit islamico di due giorni fa a Istanbul – al quale si è aggiunta ieri la dichiarazione finale di condanna di Trump uscita dall’incontro interreligioso in Libano – ha messo nell’angolo Washington e mostrato un Abu Mazen insolitamente combattivo. Il presidente palestinese ha annullato l’incontro con Pence e dalla sua parte si sono schierati diversi esponenti politici e religiosi locali e regionali. Sono stati cancellati anche gli incontri di Pence al Cairo con la Chiesa copta ortodossa e con lo sceicco di Al Azhar, Ahmed al Tayeb, la principale istituzione dell’Islam sunnita. Riyadh invece difende l’alleato Trump. Il ministro degli esteri saudita, Adel al Jubeir, in un’intervista rilasciata a France 24 ha affermato che gli Usa sono seriamente intenzionati a ottenere un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. Nena News