L’astensione degli Emirati arabi e l’interventismo russo nella regione: le ragioni del silenzio del Golfo. Già 2.500 gli ebrei ucraini intenzionati a emigrare in Israele secondo la legge del “ritorno”. Al posto di quello russo, Algeri offre all’Europa il proprio gas
della redazione
Roma, 28 febbraio 2022, Nena News
L’astensione degli Emirati arabi e l’interventismo russo
Al quinto giorno di invasione russa dell’Ucraina, gli Emirati arabi proseguono sulla linea dell’astensione. Dopo quella al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, lo scorso venerdì, di nuovo ieri Abu Dhabi ha preferito evitare qualsiasi condanna dalle mosse militari di Mosca. “Crediamo che prendere parte condurrebbe solo a maggiore violenza”, il commento di Anwar Gargash, tra le figure più influenti del regno, ex ministro degli esteri e oggi consigliere diplomatico del presidente emiratino Khalifa Bin Zayed Al-Nahyan.
“Nella crisi ucraina – ha proseguito nel post pubblicato su Twitter – la nostra priorità è incoraggiare tutte le parti a riprendere l’azione diplomatica e negoziare per trovare una soluzione politica”. Una presa di posizione che fa il paio con la copertura che i media del regno danno della guerra: vietato parlare di “invasione”, le linee guida di The National, giornale di proprietà della famiglia reale.
A monte di una simile scelta, da parte di un paese considerato stretto alleato statunitense, sta la stessa motivazione che muove il silenzio di Arabia Saudita, Oman, Kuwait e Qatar, tutti molto cauti nel condannare Mosca. Ovvero l’interventismo russo nella regione: negli ultimi anni, in particolare dal 2015 con l’ingresso del Cremlino nella guerra civile siriana al fianco del governo di Damasco, gli Stati Uniti hanno perso il monopolio delle alleanze regionali. La Russia è tornata a tessere relazioni economiche, politiche e militari con molti paesi della regione, anche in contrasto tra loro (dalla Siria di Assad a Israele, dall’Iran alla Turchia).
Non pochi regimi hanno percepito questa avanzata diplomatico-militare come un disimpegno degli Stati Uniti e un nuovo protagonismo del vecchio antagonista. Il mondo letto di nuovo come scontro tra due poli ha spinto molti paesi della regione a legarsi a Mosca, in modo più o meno indiretto. Lo spiega bene Anne Gadel, esperta di Medio Oriente per il think tank francese Institut Montaigne: i paese del Golfo, dice all’Afp, “capiscono di dover diversificare le loro alleanze per compensare il disimpegno percepito degli Usa”.
E lo spiegano i numeri: se nel 2016 l’interscambio russo con i paesi del Golfo si attestava sui tre miliardi di dollari, nel 2021 è quasi raddoppiato, passando a cinque miliardi. Un legame che si unisce a quello tra i paesi produttori di petrolio dentro l’Opec+, di cui la Russia è parte, un’alleanza che potrebbe crollare se Mosca dovesse uscirne. Meglio il silenzio, dunque, la strategia delle petromonarchie del Golfo.
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Già 2.500 gli ebrei ucraini intenzionati a emigrare in Israele secondo la legge del “ritorno”
Sarebbero 200mila gli ucraini di religione ebraica che potrebbero emigrare in Israele e – per la cosiddetta legge del ritorno che garantisce a ogni ebreo del mondo la cittadinanza israeliana, qualunque sia la loro provenienza – diventare cittadini israeliani. Lo sa bene la Jewish Agency, ente no-profit che fin dalla fine degli anni Venti del Novecento, due decenni prima della creazione dello Stato di Israele, lavora con propri uffici in tutto il mondo per sponsorizzare il trasferimento nella Palestina occupata.
Al momento sarebbero 2.500 circa gli ucraini che avrebbero chiesto di poter emigrare in Israele all’Agenzia ebraica, che ha predisposto fin da giovedì, inizio dell’invasione russa, un numero di telefono speciale per chi fosse interessato al trasferimento. Lo hanno chiamato già in 5mila, riporta il quotidiano israeliano Haaaretz, di cui la metà disposto a partire subito. Tanto che, aggiunge la Jewish Agency, i primi avrebbero già attraversato il confine con la Polonia per predisporre la partenza.
In Polonia, così come in Romania, Moldovia e Ungheria, l’Agenzia ha aperto degli uffici per procedere con i documenti necessari. Un flusso, quello dall’Ucraina a Israele, che non è di certo una novità: dalle partenze di massa nei primi anni Novanta a seguito del crollo dell’Urss all’anno scorso, quando ben 3.100 ucraini di fede ebraica sono emigrati in Israele.
Ad accoglierli è un sistema collaudato che garantisce ai nuovi cittadini mesi di sostegno economico, alloggio, vitto e corsi di ebraico per permettere l’inserimento nella nuova società. Sullo sfondo resta una discriminazione originaria: se per la legge israeliana, ogni ebreo nel mondo – a prescindere dalla provenienza – può chiedere e ottenere la cittadinanza israeliana sulla base dell’ebraicità dello Stato, lo stesso non è permesso ai palestinesi rifugiati dal 1948.
Un concetto di “ritorno” duplice, che viola il diritto internazionale e la risoluzione 194 del 1948 delle Nazioni Unite che riconoscono ai palestinesi rifugiati e ai loro discendenti il diritto inviolabile e individuale a tornare nel proprio paese. Un diritto che nessuno dei sette milioni di rifugiati palestinesi nel mondo, in oltre sette decenni, ha mai potuto esercitare.
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Al posto di quello russo, Algeri offre all’Europa il proprio gas
Ieri l’amministratore delegato della Sonatrach, Toufik Hakkar, ha offerto all’Unione Europea la fornitura di quantità maggiori di gas algerino per coprire la riduzione di quello russo. L’azienda energetica statale si è detta pronta a estrarre maggiori quantità di gas da inviare in Europa attraverso la conduttura Transmed, che collega l’Algeria all’Italia.
Ovviamente, aggiunge Hakkar, dipenderà dalla disponibilità di Lng, gas naturale liquefatto, a fronte dei bisogni energetici nazionali e comunque di un eventuale accordo contrattuale con gli europei. Al momento Transmed, che viene gestito da Sonatrach insieme all’italiana Eni, produce 32 milioni di metri cubi di gas l’anno di cui 22 inviati in Europa, che si aggiungono a quelli inviati in Spagna attraverso una seconda conduttura. Per trasportarne di più, si opererebbe attraverso speciali cisterne.
A oggi l’Algeria rifornisce l’Europa dell’11% del fabbisogno di gas continentale. Secondo il governo Algeri sarebbe in grado di inviare altri 2-3 milioni di metri cubi di gas rispetto alle quantità attuali. Nena News