Domani si vota per eleggere l’Assemblea costituente, 120 membri per dare al Paese una nuova Carta fondamentale. A tre anni dalla cacciata di Gheddafi, lo scontro tra governo ed ex ribelli mina la transizione politica e l’economia
della redazione
Roma, 19 febbraio 2014, Nena News – Il colpo di Stato in Libia è stato allontanato al termine di una giornata di fibrillazione. Il compromesso è stato raggiunto in serata tra le istituzioni e i miliziani che ieri avevano lanciato un ultimatum al Parlamento, chiedendo ai deputati di lasciare il potere entro cinque ore, pena l’arresto. Secondo quanto riferito dal premier libico Ali Zeidan, “la saggezza ha prevalso”, ma l’agenzia Reuters riferisce invece di un rinvio dell’ultimatum: altre 72 ore accordate dalle brigate Al Qaaqaa e Al Sawaeq dopo la mediazione dell’inviato dell’Onu nel Paese, Tarek Mitri.
Domani la Libia si appresta a votare per eleggere la sua Assemblea costituente, 120 membri per dare al Paese una nuova Carta fondamentale, ma la stabilità non è stata raggiunta quando sono trascorsi tre anni dalla fine del regime di Gheddafi, cacciato dal potere con il sostegno bellico della Nato. Ne è seguito uno scontro continuo tra il governo di Tripoli e le tante milizie che hanno partecipato alla battaglia contro Gheddafi e che però non hanno deposto le armi, continuando a seminare instabilità nel Paese con le loro azioni armate. Dal canto suo, il governo non è stato capace di disarmare questi gruppi e in alcuni casi se n’è avvalso per garantire la sicurezza nella capitale e in altre città.
La minaccia, dunque, pende ancora sulla testa dei parlamentari. Tripoli è invasa da veicoli armati delle milizie, parcheggiati nei pressi del Parlamento (il General National Congress-GNC) e in un’esibizione di forza, ieri i miliziani sono sfilati in macchina, armati fino ai denti, lungo la strada che porta all’aeroporto. Othman Mlekta, comandante delle brigate Al Qaaqaa, ha detto alla Reuters che non vogliono appropriarsi del potere, ma che agiscono in nome del popolo: “Agiremo subito e consegneremo il potere nelle mani della Corte suprema e formeremo commissioni per supervisionare le elezioni (per l’Assemblea costituente, n.d.r.). Lavoreremo con il popolo”. Il governo, che invece li ha accusati di volere perpetrare un golpe, ha assicurato che risponderà con la forza, se necessario.
Quest’ultima azione dei miliziani si inserisce nel solco delle continue minacce che Tripoli deve affrontare da parte di questi ex ribelli. Infatti, il Parlamento era già stato occupato una volta da un gruppo armato. Ieri, in un’altra azione armata a Bengazi ha costretto alla chiusura dell’aeroporto per sei ore: uomini chiedevano il pagamento degli stipendi. E altri gruppi sono responsabili di avere occupato i maggiori porti petroliferi della regione orientale. Le estrazioni sono la linfa vitale dell’economia libica, messa in ginocchio dalle proteste e dalle occupazioni degli impianti estrattivi e degli oleodotti da parte delle milizie tribali per fare pressione sull’esecutivo. Dallo scorso luglio la produzione è calata da 1,4 milioni di barili al giorno a 375mila, cifre che fanno rischiare al Paese la bancarotta.
La Libia è nel caos e in tanti ritengono che lo scontro continuo tra governo e miliziani stia minando e rallentando il processo di transizione verso un regime democratico. Secondo i miliziani “il Parlamento vorrebbe tornare alla dittatura”. Le tensioni si sono acuite in seguito alla decisione dei deputati libici di prolungare il proprio mandato, terminato lo scorso 7 febbraio, per consentire la stesura della nuova Costituzione, ma la scelta ha scatenato subito proteste e lunedì sono state annunciate le elezioni politiche, senza perà che fosse precisata una data. Lo stesso Parlamento è attraversato da divisioni tra L’Alleanza delle forze nazionali e la formazione islamica (Islamists of the Justice and Construction Party) vicina al movimento dei Fratelli musulmani. Nena News