Le indiscrezioni pubblicate dalla stampa israeliana: la dirigenza palestinese sceglie di non far perseguire Tel Aviv per la colonizzazione dei territori occupati in cambio dello sblocco delle tasse destinate a Ramallah. Continua anche la cooperazione per la sicurezza
della redazione
Roma, 30 marzo 2015, Nena News - L’Anp trascinerà Israele davanti alla Corte penale internazionale per i crimini compiuti la scorsa estate a Gaza, ma non “per la colonizzazione dei territori occupati”. Il motivo? Venerdì scorso Tel Aviv avrebbe deciso di decongelare i proventi delle tasse destinati a Ramallah, milioni di dollari che si era rifiutata di erogare da gennaio, in risposta alla volontà di Ramallah di continuare l’iter penale contro la potenza occupante all’Aja. E così la dirigenza palestinese non solo ha subito dichiarato che continuerà la cooperazione sulla sicurezza con Israele, ma ha anche deciso di non perseguire Tel Aviv per la massiccia colonizzazione della Cisgiordania e di Gerusalemme est.
I dettagli della distensione diplomatica di Ramallah nei confronti di Tel Aviv sono stati svelati ieri dalla stampa israeliana, capitanata dal quotidiano Jerusalem Post. In un’esclusiva pubblicata ieri, il quotidiano israeliano ha rivelato che mentre la Corte penale internazionale ha aperto un fascicolo preliminare sui “presunti crimini” compiuti da Israele durante l’operazione Margine Protettivo contro la Striscia di Gaza – fascicolo che verrà ufficialmente presentato dopo l’adesione formale della Palestina al Tribunale il prossimo primo aprile – l’Anp non avrebbe intenzione, per il momento, di aggiungere altre accuse, come la costruzione degli insediamenti nei territori occupati.
A monte sta il cambio di strategia del rieletto premier Benjamin Netanyahu che, dopo aver trattenuto i proventi dei dazi delle merci destinate ai territori palestinesi transitate nei porti israeliani, venerdì ha deciso di sbloccare quei quasi 400 milioni di dollari accumulati in ripicca all’adesione dell’Anp alla Corte dell’Aja senza mancare però di sottrarre il più possibile: “Le entrate fiscali – si legge in un comunicato dell’ufficio del primo ministro – che si sono accumulate da febbraio saranno trasferite, dopo che ne saranno stati dedotti i pagamenti per i servizi destinati alla popolazione palestinese, compresa l’energia elettrica, l’acqua e le ricevute ospedaliere”.
La decisione, come recita il comunicato, è stata presa per “ragioni umanitarie e in considerazione degli interessi complessivi di Israele in questo preciso momento”: come riporta il Jerusalem Post, Netanyahu avrebbe spiegato che “dato il deterioramento della situazione in Medio Oriente, si deve agire in modo responsabile e con la dovuta considerazione a fianco di una lotta decisa contro gli elementi estremisti”. Una concessione, insomma, fatta per proteggere la propria popolazione da qualsiasi attacco: gli ufficiali militari israeliani avevano già avvertito che la strategia delle sanzioni economiche contro l’Anp sarebbe stata controproducente e avrebbe potuto portare a una sollevazione della Cisgiordania.
Lo testimoniano le esercitazioni militari organizzate negli ultimi mesi in varie località dei Territori occupati in preparazione a eventuali disordini. Quei 127 milioni mensili di entrate fiscali rappresentano infatti due terzi del budget dell’Anp: senza i 400 milioni trattenuti da Israele, il mese scorso Ramallah è riuscita a pagare solo il 60 per cento degli stipendi del settore pubblico, e questo dopo aver chiesto vari prestiti bancari. Il resto dei dipendenti si è visto decurtare il salario del 40 per cento, mentre come riporta il portale Middle East Eye, gli impiegati nella Sicurezza avrebbero cominciato a prendere benzina e generi alimentari a credito per mancanza di liquidi. Per mettere una toppa al malcontento in Cisgiordania mentre portava avanti il suo braccio di ferro con Ramallah, Tel Aviv ha pensato bene di aumentare i permessi di lavoro per i palestinesi in Israele.
Altra conseguenza del “gesto magnanimo” di Tel Aviv sarebbe stata, sempre secondo il Jerusalem Post, la decisione dell’Anp di proseguire con la cooperazione sulla sicurezza con Israele. Nonostante il Consiglio centrale dell’Olp, presieduto da Abu Mazen, all’inizio di marzo avesse deciso di interrompere la cooperazione per il “mancato rispetto da parte di Israele degli accordi siglati tra le due parti”, molti analisti della stampa israeliana avevano previsto che la mossa dell’Olp difficilmente sarebbe stata “drammatica”, almeno non prima della formazione del nuovo governo: le indiscrezioni di funzionari palestinesi anonimi citate dal quotidiano Times of Israel, per esempio, suggerivano che la decisione, come già avvenuto in passato, sarebbe rimasta lettera morta. E così è stato. Perché se Ramallah può permettersi di denunciare Tel Aviv davanti alla comunità internazionale per i suoi bombardamenti su Gaza, la stessa comunità internazionale, che non ha mai messo in dubbio la questione del diritto di Israele alla sicurezza, difficilmente potrebbe capire le ragioni palestinesi di una sua sospensione. Nena News