Presentata la “Dichiarazione di Mosca” con cui i tre paesi lanciano la soluzione politica della crisi senza Onu e Usa. Sullo sfondo il ruolo di Ankara, che ora ammassa jihadisti a Rojava
della redazione
Roma, 21 dicembre 2016, Nena News – Ieri è andata in scena l’esclusione dell’Occidente dalla crisi siriana. I ministri degli Esteri russo, turco e iraniano ne sono stati gli attori insieme alla presentazione di un documento comune, battezzato «Dichiarazione di Mosca», con cui i tre paesi – tra i più coinvolti sul campo di battaglia – si impegnano a spingere per la soluzione politica al conflitto. Ovvero, a «facilitare la bozza di un accordo, già in fase di negoziazione, tra governo siriano e opposizioni». Lo strumento, hanno detto a margine dell’incontro, sarà la mediazione: Mosca, Ankara e Teheran vestiranno i panni dei garanti in un processo, che aggiungono, non può essere più militare ma di dialogo politico.
«Oggi gli esperti stanno lavorando al testo della Dichiarazione di Mosca – ha commentato il ministro della Difesa russo Shoigu – sulle misure immediate per risolvere la crisi siriana. I tentativi fatti dagli Usa e dai loro partner erano destinati all’insuccesso. Nessuno di questi ha esercitato una reale influenza sulla situazione sul terreno». La Russia allora balla da sola: il negoziato potrebbe partire a breve in Kazakistan, senza Onu né Usa.
Il tavolo ha ribadito la lontananza da quello infruttuoso di Ginevra promosso dal Palazzo di Vetro e dagli Stati Uniti, ormai marginalizzati, probabilmente usciti di scena con il raid che uccise 80 soldati siriani a Deir Ezzor a settembre. Un tavolo in cui la Turchia gioca le ultime carte, con un piede dentro la Nato e uno nell’orbita russa: il presidente Erdogan vuole salvare la faccia (ripulendosi le mani da anni di interventi che hanno trascinato la guerra siriana) e la distruzione del progetto democratico kurdo. Ed infatti ieri i ministri Cavusoglu e Lavrov hanno discusso anche del nord della Siria, di al-Bab e di “Scudo dell’Eufrate”. Lo hanno fatto fingendo ancora che si tratti di un’operazione anti-Isis, ma dopotutto era quanto ci si attendeva: giù le mani turche da Aleppo, via libera a Rojava.
Con la road map disegnata ieri, il trio presuppone un cessate il fuoco nazionale – che escluda Isis e Jabhat Fatah al-Sham, l’ex al-Nusra – da raggiungere tramite l’influenza che ognuno ha sui diversi attori armati del conflitto. Con le ovvie frizioni a fare da paravento: la Turchia pone sullo stesso piano l’ex al-Nusra e Hezbollah, l’Iran e la Russia ribadiscono la legittimità dei soggetti invitati in Siria da Damasco. Ma soprattutto ad emergere è il chiaro scambio turco-russo: Ankara ha abbandonato la richiesta, suo leitmotif, della rimozione del presidente siriano Assad, come naturale conseguenza della necessaria entrata nell’orbita russa.
In cambio ha mano libera nel nord della Siria. Ieri il turco Cavusoglu ha ampiamente discusso dell’operazione in corso («Continuerà») e del sostegno russo. Perché alla base sta il velo steso sui soggetti sponsorizzati da Ankara in sei anni di guerra civile siriana: nessuno a Mosca ha ufficialmente parlato del ruolo incendiario della Turchia nello sponsorizzare i gruppi sunniti estremisti nel paese, per anni destinatari di armi e denaro e degli occhi chiusi dell’esercito alla frontiera sud. Investire la Turchia dei panni del garante è mera ipocrisia visti i legami radicati con opposizioni islamiste e salafite e con gruppi come Isis e al-Nusra.
Non a caso è Ankara che in questi giorni monitora l’evacuazione di miliziani da Aleppo est, che fornisce i numeri aggiornati e propone campi di accoglienza al confine. Si ammassano proprio nelle zone che da anni i kurdi di Rojava rivendicano come terreno di coltura del confederalismo democratico dei cantoni, nelle zone in cui l’Esercito Libero Siriano, ormai ufficiale braccio armato turco, dice di combattere l’Isis ma compie azioni contro le Ypg.
Ieri intanto l’evacuazione da Aleppo è proseguita: dovrebbe concludersi, ha detto il ministro russo Lavrov, tra un paio di giorni. Sarebbero infatti non più di 3mila i miliziani e i loro familiari ancora presenti nei quartieri orientali. E mentre i primi osservatori Onu si preparano ad iniziare l’attività di monitoraggio, sale a 37.500 il numero totale degli evacuati dalla città. Circa la metà, fanno sapere le Nazioni Unite, quelli già arrivati a Idlib, enclave islamista su cui pesano i dubbi sull’accordo di tregua. Sotto l’ala dei qaedisti dell’ex al-Nusra finiscono miliziani di simile estrazione, interi gruppi che ad Aleppo si sono posti sotto il controllo della fazione più potente e organizzata. Nena News