Cinque membri dell’organizzazione statunitense (tra cui la rabbina Alissa Wise) denunciano di non essere potuti salire ieri a bordo di un aereo Lufthansa diretto a Tel Aviv perché promotori della campagna internazionale per il boicottaggio dello stato ebraico
della redazione
Roma, 25 luglio 2017, Nena News – Non sono stati fatti salire sull’aereo che da Washington li avrebbe dovuti portare in Israele perché sostenitori della campagna Bds. È quanto ieri hanno denunciato cinque membri del gruppo Jewish Voice for Peace (JVP), un’organizzazione statunitense che promuove i diritti umani per i palestinesi. I cinque (tra i quali una rabbina, due pacifisti presbiteriani e un esponente dei Musulmani americani per la Palestina di Los Angeles) stavano viaggiando con una delegazione interconfessionale che avrebbe dovuto incontrare in Israele e Palestina leader religiosi e attivisti dei diritti umani.
“Nonostante sia ebrea e una rabbina, Israele mi ha negato la possibilità di viaggiare per il lavoro che faccio per la giustizia per i palestinesi”, ha detto Rabbi Alissa Wise in una nota rilasciata dal JVP. “Sono affranta e indignata – ha aggiunto Wise – Questa è un’ulteriore dimostrazione che la democrazia e la tolleranza in Israele si estende solo a quelli che si schierano con le politiche sempre più repressive contro i palestinesi”.
Nel comunicato stampa, JVP sostiene che le altre 18 persone della delegazione sono state interrogate per ore dalle autorità israeliane dopo essere atterrate all’aeroporto di Tel Aviv
Sconfortato è anche Shakeel Syed, dei Musulmani americani per la Palestina. “Come persona di fede, il fatto che Israele mi abbia vietato la visita in Terra Santa non smorza, ma anzi rafforza la mia ricerca di pace e giustizia per i palestinesi e per la libertà per la Palestina”. L’accusa di Syed però, non è diretta soltanto contro Tel Aviv: “Nonostante avessi la carta d’imbarco per Tel Aviv, il rappresentante della Lufthansa mi ha informato che aveva ricevuto un ordine da parte dell’Autorità dell’immigrazione israeliana che non ci permetteva di salire sull’aereo. Hanno negato perfino di mostrarci questo ordine” ha denunciato Syed.
Chiamata in causa, la compagnia aerea tedesca si è difesa affermando di aver seguito quanto Israele aveva imposto loro. “Non abbiamo informazioni sul perché il governo israeliano non voglia il loro ingresso. Ci atteniamo semplicemente alle regole dei paesi in cui operiamo” ha liquidato il caso il portavoce di Lufthansa Tal Muscal.
Al momento l’ufficio del primo ministro ha preferito non commentare la notizia.
La Knesset ha approvato lo scorso 6 marzo in terza lettura (46 voti a favore e 28 contrari) “la legge anti-Bds” che vieta l’ingresso nello stato ebraico ai cittadini stranieri che appoggiano pubblicamente il movimento Bds. Non solo chi fa campagna contro il boicottaggio d’Israele, ma anche chi sostiene quello delle colonie nei Territori Occupati, visione condivisa dalla comunità internazionale – a partire dall’Unione Europea – che considera gli insediamenti illegali secondo il diritto internazionale.
Una legge nata su inziativa del partito dei nazionalisti religiosi di Casa Ebraica, (megafono del movimento dei coloni) e fatta propria dal Likud del premier Netanyahu. Proteste all’epoca erano giunte dai centristi di Campo Sionista, ma soprattutto dalla Lista Araba Unita (federazione dei quattro partiti arabi di Israele) che parlò esplicitamente di “attacco al legittimo dissenso sulle politiche israeliane”.
Il 18 luglio, in piena crisi al-Aqsa, la Knesset ha poi passato in prima lettura (25 voti favorevoli, 12 contrari e un astenuto) una proposta di legge che, qualora dovese essere approvata definitivamente in ulteriori due voti in parlamento, renderà la lotta contro il Bds completamente segreta: la esenterà infatti dalla Legge della Libertà d’informazione d’Israele che assicura ai cittadini israeliani di avere il “diritto ad ottenere informazioni dall’autorità pubblica”.
“Uno dei principi per avere la meglio [sul Bds] – ha spiegato il promotore della legge, il ministro agli affari strategici Gilad Erdan (Likud) – è mantenere segreti i nostri metodi d’azione dato che la maggior parte delle iniziative del ministero non sono sue, ma avvengono grazie a organismi sparsi nel mondo che non vogliono rivelare il legame che hanno con lo stato”.
Già in passato – soprattutto negli ultimi mesi – persone considerate legate alla campagna di boicottaggio non sono state fatte entrare in Israele. A dicembre era toccato a Isabel Piri, membro del Consiglio Mondiale delle Chiese e poco dopo al direttore di Human Rights Watch in Palestina e Israele, Omar Shakir. Tuttavia in quei casi, a differenza di quanto denunciano ora gli attivisti di JVP, il Bds non era stato indicato come ragione ufficiale del diniego.
A febbraio Haaretz aveva pubblicato il numero di persone a cui era stato rifiutato l’ingresso in Israele nel 2016: un aumento di nove volte rispetto ai cinque anni precedenti, 16.534 contro i 1.870 del 2011. Nena News