La Knesset approva una norma che potrà impedire lo scambio di prigionieri, da sempre presupposto delle trattative tra israeliani e palestinesi. Sono almeno 7mila i palestinesi nelle prigioni israeliane, tra cui minorenni e molti in detenzione amministrativa
di Sonia Grieco
Roma, 5 novembre 2014, Nena News – D’ora in avanti gli israeliani correranno sempre il rischio di negoziare a mani legate con i palestinesi, a causa di una legge approvata ieri dalla Knesset (il Parlamento israeliano) che di fatto impedisce lo scambio di prigionieri. La norma è un’iniziativa del partito La Casa ebraica, l’estrema destra israeliana.
Il rilascio di detenuti politici è sempre stato uno dei presupposti per l’avvio delle trattative tra israeliani e palestinesi. Durante gli ultimi negoziati, falliti lo scorso aprile, Tel Aviv ha rilasciato 78 palestinesi rinchiusi nelle sue carceri ed è diventato famoso lo scambio di prigionieri del 2011, quando Hamas rilasciò dopo cinque anni il soldato Gilad Shalit in cambio della scarcerazione di 1.027 palestinesi.
Questa nuova legge cambia le cose, poiché attribuisce ai giudici la facoltà di condannare gli accusati di omicidio con l’aggravante delle “circostanze straordinariamente gravi”. E la norma dice che un condannato con questa aggravante non può rientrare negli scambi di prigionieri. Le carceri israeliane sono piene di palestinesi condannati per omicidi e attacchi di matrice politica, e sono loro la “merce” di scambio durante i negoziati. L’estrema destra israeliana ha osteggiato questa pratica, considerandola una debolezza e una presa in giro, ma per l’ala più a sinistra della Knesset, l’approvazione di questa legge “lega le mani” dei negoziatori. Zehava Gal-On, del partito Meretz, ha accusato il premier Benjamin Netanyahu di “avere capitolato all’estrema destra e di sostenere una norma demagogica”.
L’ultimo tentativo di negoziare una pace tra israeliani e palestinesi è naufragato anche a causa del mancato rilascio di prigionieri palestinesi, oltre che per l’ostinazione israeliana a proseguire i suoi progetti coloniali nei Territori occupati. Ad aprile il tavolo delle trattative sponsorizzato da Washington si è chiuso, Fatah e Hamas hanno intrapreso la via della riconciliazione e i detenuti palestinesi si sono guadagnati una certa notorietà internazionale con uno sciopero della fame di due mesi che ha portato a galla le condizioni di incarcerazione e la questione della detenzione amministrativa, cioè senza processo né accuse. Una pratica ammessa dal diritto internazionale solo in casi eccezionali e non su base sistematica come avviene nelle prigioni israeliane.
Di per sé l’iniziativa dei prigionieri non ha prodotto sostanziali modifiche nella politica di Tel Aviv, ma ha portato all’attenzione dei media di tutto il mondo le violazioni dei diritti umani perpetrate dall’esercito e dalla giustizia israeliani. Il governo, infatti, ha tentato senza successo di far passare una legge che autorizzasse il nutrimento forzato dei detenuti in sciopero della fame, mentre nelle prigioni si usava il pungo di ferro contro chi scioperava: isolamento, niente visite, trasferimenti e altro. L’attenzione sui detenuti però a luglio è stata bruscamente spostata su Gaza, con l’offensiva israeliana Margine protettivo che ha fatto oltre duemila morti tra i palestinesi.
L’operazione militare ha significato anche arresti in massa e il ritorno in cella di molti prigionieri rilasciati negli scambi precedenti, tra cui diversi deputati palestinesi e il detenuto più noto del momento, Samer Issawi, uscito dal carcere dopo otto mesi di sciopero della fame. È stato arrestato di nuovo durante l’attacco contro Gaza e sulla sorte è calato il silenzio.
Secondo dati palestinesi, nelle carceri israeliane ci sono 7mila detenuti palestinesi e il numero di quelli in detenzione amministrativa è raddoppiato dall’inizio dell’anno: sono circa 500. Inoltre, le Forze armate e la polizia israeliane arrestano anche diversi minorenni, tra cui persino bambini, e di solito l’accusa per loro è di avere lanciato pietre. Un reato che proprio negli ultimi giorni è stato rivisto, aggravandolo, dal governo di Tel Aviv che, con un emendamento al codice penale, ha introdotto pene detentive fino a venti anni per il lancio di pietre contro obiettivi israeliani. Nena News