Il militare, “eroe” per molti israeliani, ha ribadito di aver agito “correttamente” uccidendo a Hebron nel 2016 il 21enne palestinese al-Sharif gravemente ferito a terra. Un tribunale di Gerusalemme ha dato intanto riconoscimento legale all’avamposto ebraico di Mitzpe Kramim (Ramallah), mentre da Washington gli Usa lanciano un duro attacco al diritto al ritorno dei palestinesi
della redazione
Roma, 30 agosto 2018, Nena News – “Non ha affatto rimorsi” il soldato israeliano Elor Azaria che nel marzo 2016 uccise a Hebron il 21enne palestinese Abd al-Fattah Yusri al-Sharif ferito gravemente a terra dopo aver compiuto un attacco con un coltello. Nell’anticipazione dell’intervista concessa al quotidiano di destra Yisrael HaYom, che verrà pubblicata interamente venerdì, il giovane soldato ha detto di essere “in pace con la coscienza per quello che ho fatto perché ho agito correttamente e ho eseguito la mia verità interna”. “Non c’è alcun dubbio che se ritorno indietro a quegli istanti – ha aggiunto il militare rilasciato 3 mesi fa dopo aver scontato 9 mesi di carcere – agirei esattamente allo stesso modo perché era quello che doveva essere fatto”.
Ma Azaria non è il solo a ritenere il suo comportamento “appropriato”: la maggior parte degli israeliani ritiene l’operato del soldato “eroe” impeccabile al punto da aver ritenuto la sua condanna uno “scandalo” e una “vergogna”. Poco importa che al-Sharif, la vittima, fosse a terra inerte agonizzante incapace in alcun modo di poter rappresentare una minaccia per l’esercito. Il palestinese era infatti un “terrorista” come il suo connazionale 21enne Ramzi Aziz al-Tamimi al-Qasrawi, ucciso dall’esercito israeliano nel corso dello stesso attacco. E da “terrorista” quale era, non meritava alcuna pietà.
Azaria lo spiega chiaramente al giornale: “Mi è stato detto da chi mi interrogava: ‘Tu verrai accusato dell’omicidio di un palestinese’. Sono rimasto scioccato e ho risposto: ‘Quale omicidio? Che problema hai? Palestinese? E’ un terrorista”. Il soldato “eroe” ha poi ribadito la linea difensiva adottata durante le fasi processuali: al-Sharif rappresentava ancora a suo giudizio una minaccia perché avevo un coltello vicino e perché indossava un pesante cappotto che poteva nascondere degli esplosivi. Peccato per lui, però, che un filmato ha dimostrato come quel coltello fosse stato messo vicino al cadavere di al-Sharif dopo che questi era stato colpito mortalmente e che cappotti spessi fossero indossati anche dagli israeliani presenti sulla scena.
Il caso Azaria, hanno denunciato varie organizzazioni umanitarie locali e internazionali, mostra come solo raramente Tel Aviv condanna i suoi soldati accusati di aver ucciso i palestinesi. Casi selezionati, sostengono, che servono come “foglia di fico” per negare le accuse secondo cui Israele non processa i suoi militari che colpiscono i palestinesi. Accuse, però, dimostrate dai fatti: Azaria è stato condannato inizialmente a scontare 18 mesi di carcere per omicidio colposo. Una pena che è stata poi dimezzata successivamente a soli 9 mesi: in pratica quanto ha patteggiato l’adolescente Ahed Tamimi per aver osato schiaffeggiare due soldati. Che Azaria sia un idolo per molti israeliani lo dimostrano non solo le parole: i media israeliani hanno rivelato a inizio mese che il soldato ha ricevuto regali e soldi dai suoi sostenitori che lo chiamano il “nostro re”.
Tra martedì sera e ieri, intanto, duri attacchi ai diritti legittimi dei palestinesi sono giunti da un tribunale israeliano e dagli Usa. Una corte distrettuale di Gerusalemme, infatti, ha dato riconoscimento legale all’avamposto ebraico di Mitzpe Kramim costruito nel 1999 a Ramallah (Cisgiordania) senza l’autorizzazione di Tel Aviv su terra privata palestinese. Una decisione che ha fatto esultare il governo di destra con la ministra di giustizia Shaked che ha parlato di un “importante risultato per le colonie in Giudea e Samaria” [i nomi biblici della Cisgiordania, ndr]. Ma a cantar vittoria per ora sono soprattutto i coloni dell’avamposto in cui abitano 40 famiglie che avevano fatto appello al tribunale nel 2013 affinché venisse riconosciuto il loro diritto alla terra. Richiesta accolta: per la corte i settler sono i legittimi proprietari dato che le autorità israeliane non erano a conoscenza che la terra fosse proprietà privata quando hanno mappato l’area conquistata durante la guerra dei 6 giorni del 1967. La sentenza si basa su una legge israeliana che afferma che persino le transazioni con difetti legali potrebbero essere valide se sono state condotte “in buona fede”.
La decisione ha scatenato la rabbia dei palestinesi: “La pace non può essere raggiunta se l’attività coloniale continua” ha tuonato Nabil Abu Rdainah, portavoce del presidente palestinese Mahmoud Abbas. L’organizzazione israeliana di sinistra Peace Now, che monitora e si oppone alla presenza di colonie in territorio palestinese, ha ricordato tuttavia che la decisione definitiva su Mitzpe Kramim spetta ora alla Corte Suprema israeliana a cui i proprietari palestinesi della terra avevano presentato ricorso.
Il secondo attacco ai diritti palestinesi è giunto da Washington dove l’ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite, Nikki Haley, nel corso di una intervista al think tank di destra Foundation for Defense of Democracies, ha sollevato i dubbi sul numero reale dei rifugiati palestinesi (secondo l’Onu 5,3 milioni) e ha nei fatti negato il loro diritto al ritorno sancito dalla risoluzione 194 delle Nazioni Unite, escludendolo da ogni futuro accordo di pace con Israele. Haley ha detto che gli Usa saranno un donatore dell’Unrwa [l’Agenzia Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi, ndr] solo se questa sarà riformata. La diplomatica statunitense è poi ritornata ad attaccare l’Onu per la sua aperta ostilità anti-israeliana: “Sapevo che ci fosse un pregiudizio contro Israele, ma non ci avevo pensato finché non ho preso parte alla sua prima sessione. Quando ho visto come sono violenti diversi paesi contro Israele in un modo che è patetico, non ho avuto altra scelta che alzarmi e dire che era completamente sbagliato”.
Le parole di Haley giungono dopo che l’amministrazione Trump a inizio anno ha deciso di ridurre a soli 60 milioni di dollari (rispetto ai 350 iniziali) i finanziamenti destinati all’Unrwa. Recentemente ha poi ordinato al Dipartimento di stato di tagliare anche 200 milioni destinati a progetti civili in Cigiordania, mantenendo solo i finanziamenti ai servizi di sicurezza Anp che cooperano con Israele. Nena News