Decine di morti ieri in una raffica di attentati. Il Paese è ormai parte dell’aperta e sanguinosa contrapposizione tra sciiti e sunniti che sta infiammando la regione mediorientale. Il 30 aprile si vota
della redazione
Roma, 28 febbraio 2014, Nena News – È un vero bollettino di guerra quello che arriva quasi quotidianamente dall’Iraq, teatro di un sanguinoso scontro settario, tra sunniti e sciiti, che sta spingendo il Paese verso una conflitto civile, quando mancano due mesi alle elezioni presidenziali (30 aprile).
Sono almeno 52 le persone morte negli attentati che ieri hanno scosso le città irachene. Il peggiore nel pomeriggio, quando una motocicletta carica di esplosivo è saltata in aria in un affollato mercato di Sadr City, distretto suburbano della capitale Bagdad, uccidendo 31 persone e ferendone 51. Altri attacchi hanno fatto altre vittime in due quartieri sciiti della città: due ordigni sono esplosi su altrettanti minibus, facendo nove morti. In una zona sunnita, invece, un miliziano si è lanciato contro un posto di blocco a bordo di un’auto imbottita di esplosivo: tre i morti e sei i feriti. E ci sono stati altri attentati, con autobombe e kamikaze, in tutto l’Iraq che ha chiuso il 2013 con un bilancio terribile: quasi 9.000 morti nelle violenze.
È stato l’anno più violento dal 2008, ma quello appena iniziato rischia di essere peggiore: soltanto nel mese di gennaio ci sono stati quasi mille attacchi e le vittime sono state 1.500. Cifre che rimandano al sanguinoso biennio 2005-2006, quando lo scontro confessionale fece oltre 50.000 vittime.
La recrudescenza delle violenze è legata anche alla difficile situazione della provincia dell’Anbar, occupata da dicembre dai miliziani dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante, compagine “ribelle” di al Qaeda rinnegata dalla stessa organizzazione, che hanno assunto il controllo di interi quartieri delle città di Ramadi e di Fallujah. Decine di migliaia di residenti sono fuggiti e l’offensiva del governo non ha fermato gli attentati che spesso portano la firma dei gruppi legati ad al Qaeda. L’Anbar è uno storico bastione sunnita e in passato ha sostenuto il regime baathista di Saddam Hussein, mentre negli anni recenti è stato il luogo di nascita di movimenti di protesta antigovernativi, che chiedono più partecipazione politica e denunciano la marginalizzazione che subiscono ad opera di Maliki.
Da due anni l’astio tra gli sciiti alla guida del Paese e i sunniti, estromessi dal potere dopo la caduta di Saddam Hussein, ha assunto la forma del conflitto armato. Dopo l’invasione statunitense iniziata nel 2003 e terminata nel 2011, gli sciiti hanno iniziato a dominare la vita politica e il dissenso, soprattutto da parte dei sunniti, è stato soffocato nel sangue. I movimenti di protesta, seppur pacifici, sono stati zittiti con la forza: nell’aprile del 2013 il premier Nouri al Maliki ha inviato l’esercito a sgomberare il campo di protesta di Hawija, vicino a Kirkuk, lasciando sul terreno 42 manifestanti. Da allora gli scontri si sono inaspriti e pure la stretta repressiva del governo, con leggi antiterrorismo che hanno portato in carcere decine di persone e hanno condannato a morte decine di “terroristi”. Secondo l’associazione Human Rights Watch, le autorità hanno condannato a morte per impiccagione almeno 151 persone nel 2013, 129 nel 2012 e 68 nel 2011.
La comunità sunnita denuncia l’uso strumentale di queste leggi contro i rivali politici di Maliki che, grazie a una sentenza della Corte suprema, potrà ricandidarsi. La strada verso la vittoria è stata spianata anche dall’inaspettato ritiro dalla scena politica irachena di Moqtada al Sadr, anche lui sciita ma strenuo oppositore del governo. Intanto, per l’Iraq non c’è pace. Il Paese sembra essere ormai parte della aperta e spesso violenta contrapposizione tra sciiti e sunniti che sta infiammando la regione mediorientale. Nena News
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