Le condizioni di vita estreme cominciano ad uccidere. A disposizione ci sono aiuti e tende per 17mila persone, ma i civili in fuga sono 85mila
della redazione
Roma, 23 giugno 2016, Nena News – Da più di una settimana il governo iracheno celebra la liberazione di Falluja. Pochi giorni e le ultime sacche islamiste saranno ripulite, ripetono esercito e primo ministro. Ma gli scontri continuano e la resistenza dell’Isis appare più consistente di quella attesa.
Ieri il generale al-Obeidi, vice comandante delle forze armate, ribadiva che le truppe di Baghdad hanno il controllo del 90% della città, la seconda per importanza nella provincia sunnita di Anbar e la più vicina alla capitale. Lo Stato Islamico controlla ancora il quartiere settentrionale di Golan, ma ha anche uomini sparsi per la città che attaccano la controffensiva governativa con i cecchini.
E se a Fallujah si combatte ancora e se decine di migliaia di civili ne restano intrappolati, la morte segue gli sfollati anche fuori. Dopo le notizie di abusi da parte di alcune milizie sciite contro i civili in fuga (uomini divisi dalle famiglie, picchiati e detenuti), ad emergere sono le condizioni di vita nei campi allestiti in fretta e furia dal governo al di fuori del perimetro della città. Nei giorni scorsi il Norwegian Refugee Council, ong che gestisce i campi, aveva dato un bilancio enorme: almeno 85mila iracheni hanno lasciato Fallujah cercando riparo nei campi profughi che, secondo l’Onu, possono contenere al massimo 17mila persone. Mancano cibo, acqua e medicinali e sono moltissimi quelli costretti a restare fuori dalle tende sotto il sole cocente del giugno iracheno e le tempeste di sabbia.
Ora arrivano le notizie dei primi morti: secondo fonti locali sarebbero almeno 20 i civili morti nel campo di Amariyat al-Fallujah, 30 km dalla città. Si tratterebbe per lo più di anziani e malati, le cui condizioni sono peggiorate a causa delle condizioni di vita estreme.
“La situazione sta deteriorando giorno per giorno – dice Nasr Muflahi, diretto del Norwegian Refugee Council in Iraq – Quello a cui assistiamo è la conseguenza di una risposta lenta e poco finanziata, con un peso enorme sulle spalle dei civili che fuggono da un incubo per ritrovarsi in un altro”. A Fallujah, sotto occupazione Isis da un anno e mezzo, mancava il cibo e l’acqua potabile, il prezzo dei beni aveva raggiunto livelli stellari e la gente – raccontano i profughi – mangiava quello che poteva, erba e gatti. E chi provava a fuggire finiva sotto il fuoco islamista.
La denuncia dei decessi arriva dai leader locali che accusano il governo centrale di aver mescolato, tra i campi profughi, anche centri di detenzione dove sono scomparsi centinaia di uomini. Alcuni ricompaiono, dopo gli interrogatori, con segni di tortura e pestaggi. Le autorità giustificano i controlli con il timore che tra i civili si nascondano membri dell’Isis: secondo funzionari governativi, sarebbero circa 500 i sospetti miliziani arrestati in una sola settimana.
La conseguenza sono le porte serrate: ai civili di Fallujah viene impedito di lasciare la provincia di Anbar per raggiungere Baghdad, dove molti vorrebbero andare a casa di parenti o in ospedali attrezzati. Ma è impossibile: che sia per la paura dell’infiltrazione jihadista o per il timore di un flusso eccessivo di sunniti in un’area sciita, il governo blocca gli ingressi. Nena News