Baghdad lancia l’allarme per il materiale nucleare conservato nei laboratori dell’università di Mosul, ma non potrebbe essere usato per costruire armi. Maliki accusa i curdi di aiutare i jihadisti
della redazione
Roma, 10 luglio 2014, Nena News – Dopo quello sulle armi chimiche, il governo di Baghdad lancia l’allarme nucleare: nelle mani dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) sono finiti circa 40 chilogrammi di uranio conservati nei laboratori di ricerca dell’Università di Mosul. Lo ha riferito l’inviato iracheno alle Nazioni Unite, ma per l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) e per gli Stati Uniti il rischio che i jihadisti possano costruirci armi atomiche è “basso”, infatti, non si tratterebbe di uranio impoverito. E anche nel caso del vecchio magazzino di Muthanna, a nord-ovest della capitale, in cui sono stoccati 2.500 missili caricati con gas sarin, adesso controllato dai miliziani dell’Isil, Washington ritiene che il pericolo di un impiego bellico sia basso.
Nonostante il “basso grado” di rischio rappresentato dall’arsenale chimico che fu di Saddam Hussein e dal materiale nucleare dell’università di Mosul, resta il fatto che i combattenti jihadisti sembrano inarrestabili, Baghdad è incapace di reagire all’offensiva iniziata un mese fa e cerca aiuto al Palazzo di Vetro.
Nelle ultime settimane l’Isila ha occupato gran parte dell’Iraq nord-occidentale, imponendo la propria legge, basata sulla sharia, alla popolazione e costringendo alla fuga oltre un milione di persone. Secondo l’Onu, sono almeno 2.417 i morti nei combattimenti tra Isil e Forze armate irachene, tra cui 1.531 civili.
Intanto, sul fronte politico interno le cose non vanno meglio. Il premier Nouri al Maliki, riconfermato alla guida del governo sciita per la terza volta lo scorso 30 aprile, non vuole farsi da parte, malgrado le pressioni internazionali, e la mancanza di un accordo tra i blocchi politici sui nomi dei candidati per le tre più alte cariche dello Stato, assegnanti su base confessionale (Presidente curdo, primo ministro sciita, presidente del Parlamento sunnita), ha fermato i lavori parlamentari. La prossima seduta del Consiglio dei rappresentati, il Parlamento iracheno, è stata rinviata al 12 agosto.
Maliki ha fatto appello all’unità del popolo iracheno e ha parlato di una “cospirazione” contro il Paese. Si è scagliato contro i curdi, accusandoli di sostenere i jihadisti e di avere trasformato la provincia di Irbil, sotto il loro controllo, in un paradiso per i combattenti sunniti, in una base per le loro operazioni belliche sostenute dai baathisti dell’ex regime di Saddam Hussein.
Accuse negate con vigore dal governo della regione autonoma del Kurdistan. Maliki e il presidente curdo Massoud Barzani sono ai ferri corti: quest’ultimo ha detto di non sentirsi più vincolato dalla Costituzione irachena e giorni fa aveva annunciato l’intenzione di indire un referendum per l’indipendenza del Kurdistan dall’Iraq nel giro di qualche mese. Ha aggiunto che i partiti curdi non parteciperanno a un esecutivo guidato da Maliki.
Barzani non è l’unico nemico del premier sciita. Due giorni fa sono intervenute anche le tribù sunnite che hanno chiaramente espresso il loro sentimento verso il potere centrale: discriminate e escluse dalla vita politica e economica del paese per anni, oggi molte delle comunità sunnite irachene sostengono l’avanzata dell’Isil, nell’intenzione di usare i jhadisti per riprendere il controllo dell’Iraq e poi liberarsene.
Una protesta che arriva da lontano e che era esplosa con forza alla fine dello scorso anno quando gruppi sunniti organizzarono campi di protesta nella città di Ramadi, nella provincia di Anbar. Inizialmente Maliki reagì con una dura repressione delle proteste, arresti di leader e del ministro delle Finanze al-Issawi. Alle manifestazioni sunnite si aggiunse però la prima offensiva dell’Isil che a dicembre occupò Fallujah e Ramadi, primo passo verso l’avanzata di giugno.
Intanto, ieri la polizia irachena a scoperto i corpi di 53 uomini tra i 25 e i 40 anni giustiziati in un’area sciita a sud di Baghdad, nella cittadina di Hamza al-Gharbi, nella provincia di Babil. Si tratta di un’area che non ha visto significanti attività dell’Isil che pure ha fatto incursioni nei sobborghi meridionali di Baghdad. In risposta le milizie sciite hanno rastrellato chiunque fosse sospettato di legami con i jihadisti e molti sono stati uccisi. Nena News