Human Rights Watch: “I miliziani appoggiati dal governo commettono crimini di guerra contro i villaggi sunniti strappati a Daesh”. Abitazioni distrutte, sequestri ed esecuzioni sommarie: così l’Iraq sprofonda nel baratro dello scontro settario
di Giovanni Pagani
Roma, 8 febbraio 2016. Nena News – Secondo quanto denunciato da diverse organizzazioni per la tutela dei diritti umani, le milizie paramilitari sciite impiegate da Baghdad nella lotta al “califfato” avrebbero commesso nuovi atti di violenza a sfondo settario nell’ultimo mese. L’ultimo episodio si sarebbe verificato nella regione di Diyala, a nord-est di Baghdad, dopo che due esplosioni avvenute l’11 gennaio in un caffè di Muqdadiya avevano innescato la violenta rappresaglia da parte dei gruppi armati sciiti.
“Conosco molti dei miliziani che girano per le nostre strade e buona parte di loro proviene dalla zona – ha spiegato una fonte locale a Human Rights Watch – Lo Stato Islamico poteva anche essere dietro agli attentati nel caffè, ma gli attacchi sferrati contro le case e le moschee sunnite sono senza dubbio opera della Lega dei Virtuosi”.
Assieme alle Brigate Badr, la Lega dei Virtuosi rappresenta oggi la più numerosa milizia sciita in Iraq. Entrambe sono rappresentate in parlamento e operano nel quadro del Fronte di Mobilitazione Popolare (PMF); godendo del sostegno della Guardia Rivoluzionaria Iraniana, dalla quale ricevono addestramento, armamenti e direttive.La Brigata Badr, secondo molti la fazione politica e militare più potente in Iraq, fu fondata nel 1980 con l’aiuto iraniano da Hadi al-Amiri – tuttora leader carismatico – e combatté duramente Saddam Hussein per conto di Tehran tra il 1980 e il 1988. La Lega dei Virtuosi, nata invece a seguito di una scissione dalla più ampia armata Mahdi, fu creata da Qais al-Khazali nel 2006 e fu largamente usata dal premier al-Maliki sia per azioni di polizia sia per neutralizzare il dissenso politico all’interno della stessa comunità sciita. Entrambe le organizzazioni paramilitari combatterono inoltre le truppe britanniche e statunitensi fino al 2011, quando il ritiro definitivo delle forze di occupazione spianò la strada alla loro integrazione politica.
In questo quadro, se la vicinanza delle Brigate Badr e della Lega dei Virtuosi al governo di al-Maliki favorì la legittimazione politica di personaggi come al-Amiri e al-Khazali, la minaccia posta dal “califfato” ha conferito alle rispettive milizie maggiore legittimità militare, complice anche l’inadeguatezza dell’esercito iracheno, a seguito del suo scioglimento nel 2003 per volere statunitense.
Infine, quando la caduta di Mosul rese evidente l’impreparazione delle truppe governative, l’ayatollah al-Sistani – su invito del premier al-Maliki – pronunciò una fatwa contro lo Stato Islamico, invitando i giovani sciiti a intraprendere iljihad contro Daesh e ad unirsi alle fila del Fronte di Mobilitazione Popolare. Circa 7mila volontari risposero prontamente alla chiamata, andando così ad ampliare la sproporzione tra governativi e paramilitari. A tal proposito, si pensa che, mentre i primi contano non più 50mila uomini, i secondi possano fare affidamento su almeno 120mila miliziani.
Quando il governo di Baghdad mosse all’assedio di Tikrit – città natale di Saddam Hussein – a marzo 2015, fonti ufficiali riportarono che dei 23mila uomini dispiegati sul campo, solo 3mila appartenevano all’esercito governativo, mentre la restante parte era formata da milizie sciite agli ordini del generale iraniano Qassem Soleimani. Quest’ultimo, fu inoltre visto dirigere le operazioni militari al fianco di al-Amiri, suo amico intimo e leader delle Brigate Badr.
I primi avvertimenti di Human Rights Watch e di altre organizzazioni per i diritti umani furono lanciati a febbraio del 2015, a pochi mesi dall’inizio della campagna di liberazione del paese lanciata da Baghdad con appoggio statunitense. Secondo quanto evidenziato da HRW, già un anno fa, i primi segnali di violenza settaria si erano infatti verificati dopo la riconquista di Amerli, nell’estate 2014. Le numerose milizie sciite che avevano combattuto al fianco dell’esercito avevano dato fuoco a numerose case e attività commerciali nelle aree sunnite di Salahel-Din e Kirkuk. In un report redatto poi dalla stessa organizzazione lo scorso settembre, fu evidenziato come analoghi episodi di rappresaglia verso le comunità sunnite ebbero luogo dopo la ‘liberazione’ di Tikrit, quando almeno 1.400 abitazioni vennero distrutte e 160 uomini fatti sparire. Esecuzioni sommarie nei confronti delle tribù sunnite sono state denunciate anche in diversi resoconti della Missione di Assistenza in Iraq per le Nazioni Unite (UNAMI) – l’ultimo risale al 19 gennaio – dai quali si apprende come la rappresaglia nei confronti dei villaggi sunniti sia diventata ormai una prassi all’indomani della loro liberazione.
Le atrocità commesse dalle milizie sciite nelle città e nelle regioni sottratte a Daesh hanno radici profonde nella storia irachena degli ultimi trent’anni. Dalla guerra contro l’Iran (1980-88) all’invasione statunitense nel 2003 e dalla repressione della maggioranza sciita da parte di Saddam alla conquista del potere politico di quest’ultima a partire dal 2006.
“La Lega dei Virtuosi considera ex-sostenitori di Saddam Hussein tutti gli iracheni sunniti – ha raccontato una fonte locale ad Amnesty International dopo i recenti eventi di gennaio – Molti furono trascinati in strada e uccisi arbitrariamente”. Inoltre, dal momento che l’estensione territoriale del “califfato” si limita alle regioni sunnite settentrionali del paese, il largo impiego di milizie settarie da parte di Baghdad rende ancor più concreto il rischio di pulizia etnica da parte di quest’ultime. “Bruciamo e distruggiamo al-Dur (provincia di Tikrit) perché tutti i suoi abitanti sono sostenitori di Daesh o del partito Baatista”, ha dichiarato a tal proposito proprio un miliziano del PMF a Human Rights Watch.
In altre parole, l’avversione delle Brigate Badr e della Lega dei Virtuosi per le regioni sunnite strappate al “califfato” per conto di Baghdad è legata alle atrocità commesse da Saddam Hussein durante la sua dittatura. Se le strutture di potere intessute da quest’ultimo avevano infatti notevolmente privilegiato la minoranza sunnita e i capi tribali dell’area di Tikrit, otto anni di governo al-Malikisi hanno riprodotto analoghe logiche clientelistiche a favore della comunità sciita. Inoltre, mentre la stretta collaborazione tra al-Maliki, Tehran e le milizie alimentava il sentimento di vendetta nei confronti della comunità sunnita, la minaccia dello Stato Islamico forniva il pretesto perché le rappresaglie della Brigata Badr e della Lega dei Virtuosi potessero nascondersi dietro alla campagna di liberazione. Quindi ottenere una legittimità politica che solo il rinnovato sostegno di Washington e il riavvicinamento di quest’ultima a Tehran avrebbero potuto garantire.
In questo quadro, nonostante l’attuale premier Haider al-Abadi abbia ufficialmente integrato il Fronte di Mobilitazione Popolare nelle truppe governative, assumendosi quindi la responsabilità formale per la loro condotta sul campo, episodi come quelli denunciati in questi giorni provano come le logiche settarie e l’ingerenza iraniana siano di grande ostacolo sia alla riaffermazione della sovranità territoriale di Baghdad sia al suo controllo dei propri organi militari. Ciò non rischia soltanto di perpetuare e aggravare lo scontro settario già in atto nel paese, ma alimenta soprattutto la diffidenza delle tribù sunnite nei confronti di Baghdad e la loro riluttanza a respingere il “califfato” in nome di quest’ultima. Nena News
Qui la versione in inglese
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