Gli immigrati sono detenuti in celle sovraffollate, con scarsa luce naturale e ventilazione e con un inadeguato numero di latrine o bagni. Per loro non è previsto alcun processo legale, né hanno la possibilità di contestare la legittimità della loro prigionia o del loro trattamento. Secondo la ong internazionale Medici Senza Frontiere, l’Unione Europea finanzia e perpetua il ciclo di sofferenza degli immigrati nello stato africano
di Federica Iezzi
Roma, 12 settembre 2017, Nena News – L’Unione Europea finanzia e perpetua il ciclo di sofferenza dei migranti in Libia, costringendoli a reclusioni arbitrarie in centri di detenzione. Questo è quanto affermato nell’ultima conferenza stampa da Joanne Liu, il presidente internazionale di Medici Senza Frontiere.
Dunque la pesante accusa, appoggiata anche dall’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, è che la politica dei governi europei, alimentando un sistema criminale di abusi, è diretta complice delle violenze subite dai migranti in Libia. Il governo di al-Sarraj controlla ufficialmente circa due dozzine di centri di detenzione in territorio libico, attraverso la sua direzione per la lotta alla migrazione irregolare (DCIM), secondo gli ultimi dati dell’EUBAM (European Border Assistence Mission in Libya).
I finanziamenti previsti dai Paesi europei per le attività dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) e dell’UNHCR per migliorare le condizioni nei centri di detenzione governativi libici rappresentano oggi solo un’illusione di fronte al milione di profughi intrappolati in Libia.
L’unica soluzione ragionevole e civile sarebbe quella di aprire percorsi legali per chi fugge da guerre, fame e violenze. La rotta migratoria africana maggiore parte da Agadez, passa per Dirkou in Niger, per arrivare alla città libica di Sabha. I migranti vengono poi dirottati dai contrabbandieri verso i porti di Tripoli o Zawiya.
La rotta percorsa dai migranti dei Paesi africani dell’ovest, invece, parte sempre dalla porta di Agadez in Niger, passa per Bamako e Gao, in Mali, e arriva a Tamanrasset, in Algeria. L’ultima parte del viaggio è comune per tutti fino alle coste libiche.
Pane, burro e acqua è tutto ciò che i migranti ricevono nell’unico pasto giornaliero, nei centri di detenzione libici. Malattie legate alle scadenti condizioni sanitarie, malnutrizione e violenze fisiche sono cicatrici indelebili di ogni migrante, secondo le molteplici denunce del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Vengono rinchiusi in celle sovraccariche, con scarsa luce naturale e ventilazione. Gli edifici sono spesso vecchie fabbriche o magazzini, con un inadeguato numero di latrine o bagni. Per i migranti è prevista una detenzione ma non è previsto nessun processo legale, nessuna possibilità di contestare la legittimità della loro prigionia o del loro trattamento.
Secondo i report dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, un considerevole numero di profughi che entra in Libia, viene scambiato nei cosiddetti mercati di schiavi, prima di finire nei centri di detenzione. A questo segue una richiesta di riscatto da parte dei trafficanti, in accordo con i militari libici, verso le famiglie dei più giovani. Se il denaro non arriva, il viaggio si ferma in Libia.
Dopo Medici Senza Frontiere, anche Save The Children e la maltese MOAS (Migrant Offshore Aid Station) sospendono le operazioni di salvataggio nel mar Mediterraneo, a causa delle forzature dettate dal codice di condotta per le ONG, imposto dal Viminale con il benestare dell’Europa, e a causa di una guardia costiera libica ostile alle attività di soccorso.
La Commissione europea risponde decantando un programma di 46 milioni di euro, per formare e rafforzare la guardia costiera libica, e stimando un brusco calo degli arrivi in Italia nel mese di agosto, scesi dell’80% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. E’ cieca invece di fronte a quanto accade nei centri di detenzione in Libia, dove torture, stupri, fame e uccisioni, sono la quotidianità. I migranti arrestati in mare dalla guardia costiera libica, modellata irresponsabilmente dai nostri militari, vengono inviati, senza dignità, nel sistema di detenzione del Paese. Qui inizia la fiorente impresa di rapimento, tortura e estorsione, di cui l’Europa è corresponsabile.
Dunque, per raggiungere un accordo con gli attori coinvolti nel traffico di esseri umani, il prezzo da pagare è quello di accettare un certo grado di violenza e violazioni dei diritti umani? L’Europa sembra disposta a pagare quel prezzo per porre fine alla crisi migratoria. A sei anni dalla rivoluzione che rovesciò la dittatura Gaddafi, una Libia, senza regole né governo, è diventata la meta per migliaia di profughi pronti a rischiare la vita, su sovraffollate imbarcazioni, pur di attraversare il Mediterraneo. Gli abusi che i rifugiati affrontano durante il pericoloso viaggio verso l’Europa, meritano una risposta globale, secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Zeid Ra’ad al-Hussein.
L’accordo di Parigi, tra i leader di Francia, Germania, Italia, Spagna, Ciad, Niger e Libia sponsorizza un poco lungimirante piano per affrontare il traffico illegale di esseri umani, sostenendo i Paesi che combattono per bloccare il flusso di richiedenti asilo, attraverso prima il Sahara e poi il Mar Mediterraneo. E’ molto sottile la linea che divide queste attività dalla tutela dei diritti umani dei migranti. Nena News
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