L’ormai decennale guerra in Siria ha attirato migliaia di combattenti da tutto il mondo. Tra questi, un gruppo di albanesi provenienti da Albania, Kosovo e Macedonia del Nord ha dato vita a un’unità affiliata all’ex al-Nusra
di Marco Siragusa
Roma, 8 aprile 2021, Nena News – Xhemati Alban, Congregazione albanese. Questo il nome scelto da un gruppo di combattenti albanesi che dal 2017 opera in Siria e più precisamente nell’area di Idlib, nel nord-ovest del paese.
La regione è controllata da anni dalle forze del noto gruppo al-Nusra che ha negli anni passati cambiato il proprio nome in Hay’at Tahrir al-Sham (Hts). Secondo le fonti ufficiali, il gruppo sarebbe nato già nel 2012 ma le indagini dei servizi segreti di mezzo mondo dimostrano come abbia cominciato a operare solo a partire dal 2017. Nel 2020 ha partecipato a diverse operazioni a Latakia, nella zona di Kabani, e ad Aleppo, uno dei teatri più sanguinosi del conflitto.
Tecnicamente, Xhemati Alban è quello che si definisce una “katiba”, unità di combattimento composte da massimo un centinaio di miliziani equipaggiati con armi leggere e capaci di muoversi velocemente. Il numero preciso dei suoi membri non è stato ancora stabilito ma, analizzando i video propagandistici pubblicati dal gruppo, si stima sia compreso tra 20 e 50 miliziani di etnia albanese provenienti da Albania, Kosovo, Macedonia del Nord e Valle di Presevo (Serbia meridionale). Xhemati Alban è diviso in due sottogruppi: i cecchini, che affiancano e sostengono le offensive condotte da altri gruppi armati, e i minatori, che si occupano di piazzare le mine sui campi di battaglia.
Il loro leader è Abu Qatada al-Albani, al secolo Abdul Jashari. Nato nel 1976 a Skopje, capitale della Macedonia del Nord, nel novembre 2016 Jashari è stato inserito dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti nella lista dei terroristi e quindi colpito da sanzioni personali in seguito alla sua partecipazione alle operazioni militari di al-Nusra nel nord della Siria l’anno precedente.
Secondo quanto riportato in uno studio del 2019 di Ardian Shtuni, esperto di questioni di politica estera e sicurezza in particolare nei Balcani occidentali e nel Mediterraneo orientale, intitolato Western Balkans Foreign Fighters and Homegrown Jihadis: Trends and Implications, Xhemati Alban è particolarmente attivo anche nella produzione di materiale propagandistico rivolto soprattutto ai cittadini albanesi nel tentativo di convincere il più alto numero possibile di persone ad aderire alla guerra.
Nell’agosto 2018 è stato pubblicato un video intitolato Albanian Snipers in the Lands of Sham, in lingua albanese con sottotitoli in inglese, della durata di circa 33 minuti. Tra i temi affrontati, la lotta al presidente Bashar al-Assad, considerato il colpevole della guerra e accusato di aver ucciso il proprio popolo, e la critica ai concittadini albanesi per non aver aderito in massa alla “guerra per la Verità”.
La particolarità di questo video risiede però nella minuziosità con cui viene raccontato e mostrato l’arsenale del gruppo. Gli studi condotti sulle riprese dimostrerebbero il background militare dei combattenti, probabilmente provenienti da ambienti paramilitari o anche dall’esercito albanese e quindi con un alto livello di conoscenza pregressa delle armi in dotazione e delle strategie di combattimento.
Il lavoro di Shtuni cita inoltre una ricerca condotta nel marzo 2019 che ha rintracciato ben 27 canali Telegram attivi in lingua albanese con oltre 6.000 follower. Un dato significativo che mostra la capacità dei gruppi jihadisti di raggiungere un ampio pubblico anche nei paesi di origine. Di questi 27 canali, 13 facevano riferimento allo Stato Islamico, 6 a Hts e 8 erano genericamente legati alla jihad.
Secondo quanto sostenuto in un’intervista per Reporteri.net dello scorso 5 aprile da Bedri Elezi, direttore degli studi sulla sicurezza per il Kosovo Institute for International Studies, un gruppo di dieci albanesi sarebbe riuscito a raggiungere la Siria nel 2020 nonostante le limitazioni imposte dalla pandemia. Si sospetta inoltre che circa cinquanta cittadini albanesi siano ancora imprigionati nelle carceri controllate dai miliziani curdi.
Ad inizio anno, Hayat Tahrir al Sham, erede di al-Nusra in Siria, ha avviato un importante processo di cambiamento. Il tentativo è quello di presentarsi agli occhi della comunità internazionale non più come gruppo terroristico, come è considerato ancora oggi, ma come gruppo moderato con cui poter interloquire per raggiungere un accordo per la conclusione della guerra. A febbraio, Hts ha operato una serie di arresti nei confronti di alcuni membri di altri gruppi jihadisti tra cui Abu Abdullah al-Souri, leader di Hurras al-Din ad Aleppo e affiliato di al-Qaeda.
L’azione voleva mostrare le buone intenzioni di Hts nel prendere le distanze dalle fazioni più violente e radicali. Un comportamento che, però, non ha convinto Russia, Turchia e Iran che in una dichiarazione congiunta dopo l’incontro del 16-17 febbraio ad Astana hanno espresso «grave preoccupazione per la maggiore presenza e attività terroristica di Hayat Tahrir al-Sham e altri gruppi […] che rappresentano una minaccia per i civili».
Se questo processo di “moderazione” dovesse continuare, il braccio armato di Xhetani Alban potrebbe risultare controproducente. A quel punto si potrebbe aprire uno scenario potenzialmente pericoloso per l’Albania e i paesi limitrofi: il rientro in patria dei miliziani. Un problema, quello del ritorno dei foreign fighters, che mostra ancora alcuni buchi neri nella sua gestione. Nena News