Censura, intimidazioni, denunce per diffamazione e multe rendono il lavoro di giornalista nei Balcani una vera e propria impresa. Le forti ingerenze del potere politico e la riduzione dei finanziamenti pubblici riducono notevolmente l’indipendenza dei giornalisti e la qualità delle loro inchieste
di Marco Siragusa
Roma, 9 ottobre 2019, Nena News – Dall’11 al 13 settembre si è svolto a Podgorica (Montenegro) il terzo EU Western Balkans Media Days, promosso dalla Commissione Europea con la partecipazione di oltre 350 giornalisti, rappresentanti della società civile e (pochi) politici provenienti da tutta la regione. Al di là delle altisonanti dichiarazioni e delle buone intenzioni sull’apertura di un dialogo costruttivo tra mondo politico e giornalismo, l’incontro ha rappresentato solo l’ennesimo tentativo di facciata delle istituzioni europee nel dimostrare la propria attenzione alla libertà di stampa nella regione. Nonostante il protagonismo dell’UE sul tema, il lavoro dei giornalisti nei Balcani rimane ancora oggi soggetto a fortissime limitazioni e ostacoli.
Croazia
Secondo la classifica sulla libertà di stampa stilata annualmente da Reporters Senza Frontiere, nel 2019 la Croazia si è classificata al 64esimo posto in miglioramento rispetto al 69esimo posto fatto registrare nel 2018 e al 74esimo del 2017. Nonostante i progressi la condizione dei giornalisti indipendenti resta piuttosto difficile. Ne sono dimostrazione i numerosi episodi degli ultimi mesi. In estate diversi giornali sono stati presi di mira con scritte come “Morte ai giornalisti” o “Giornalisti vermi” a Zadar, Zagabria e Spalato. Il caso recente più eclatante è sicuramente quello relativo all’arresto e alla multa di 100 euro inflitta al giornalista del sito Index.hr Gordan Duhaček, trattenuto dalla polizia all’aeroporto di Zagabria poco prima della sua partenza per la Germania. Il giornalista è accusato di aver utilizzato l’acronimo ACAB (“All cops are bastards”) in un tweet che denunciava le violenze della polizia croata durante un arresto.
L’ostilità nei confronti dei giornalisti è stata spesso banalizzata, se non fomentata, dalla politica come nel caso delle forti critiche rivolte alle inchieste giornalistiche sulle violenze della polizia croata verso i migranti al confine con la Bosnia da parte del governo. Lo scontro tra potere politico e giornalisti non riguarda soltanto l’Unione Democratica Croata (HDZ) al potere ma coinvolge anche i principali partiti di opposizione. A gennaio di quest’anno l’Associazione dei giornalisti croati (HND) ha duramente condannato un post su Facebook del partito Živi Zid (alleato del Movimento 5 Stelle) che insultava pesantemente la giornalista Željka Godeč di Jutarnji list per un suo articolo che indagava le poco trasparenti attività finanziarie del partito.
Lo stesso presidente dell’HND, Hrvoje Zovko, era già stato vittima di un’epurazione da parte della televisione pubblica, Radio Televisione Croata (HRT). A dicembre dello scorso anno Zovko era stato licenziato, dopo vent’anni di servizio, in seguito al conflitto nato con la redazione per la censura subita in merito ad un articolo di inchiesta sui contrasti interni al partito di governo. Zovko è stato inoltre denunciato per ben tre volte per diffamazione dalla televisione pubblica. Come lui altri 35 giornalisti, tra il 2016 e il 2019, sono stati portati in tribunale per lo stesso motivo mentre già nel 2016, dopo la vittoria dell’HDZ alle elezioni parlamentari, circa 80 redattori erano stati prontamente sostituiti dai vertici dell’HRT. Le denunce per diffamazione rappresentano uno strumento molto utilizzato dai consigli di amministrazione dei giornali per contrastare il lavoro dei giornalisti considerati non allineati al potere politico. In totale sono circa mille i processi in corso nel paese contro i media.
Le gravi ingerenze politiche hanno però provocato una forte reazione da parte dei giornalisti croati che, nel marzo di quest’anno, sono scesi in piazza a Zagabria per una manifestazione organizzata dall’HND con lo slogan “Avete sequestrato i media ma noi non rinunceremo al giornalismo”. Tra le otto richieste presentate dall’Associazione al governo si chiede la fine delle azioni legali, la depoliticizzazione del Consiglio dei media elettronici, il cambio dei vertici dell’HRT e la fine delle pressioni esercitate dalla polizia sui media.
Bosnia-Erzegovina
Ancora più complicata la situazione in Bosnia-Erzegovina, paese che ha visto addirittura peggiorare la propria posizione nella classifica sulla libertà di stampa passando dal 62esimo posto del 2018 al 63esimo del 2019. Le spesso opache dinamiche di gestione del potere politico e le difficoltà economiche del paese rendono il lavoro d’inchiesta dei giornalisti ancor più complicato che in altre parti. Inoltre, le tendenze nazionalistiche dei principali partiti tendono a considerare qualsiasi voce critica come una minaccia alla stabilità e all’onore della nazione tanto nella Federazione croato-musulmana di Bosnia-Erzegovina (FBiH) quanto nella Republika Srpska (RS), le due entità che compongono il paese.
Nell’ultimo anno sono stati diversi gli attacchi e le violenze subite dai media. L’ultimo caso, avvenuto il 28 settembre, ha riguardato i giornalisti di Radio Sarajevo vittime di intimidazioni, prima verbali e poi fisiche con un vero e proprio blitz e conseguente sequestro dei lavoratori nella sede della radio, da parte di un gruppo di ultras dell’FK Sarajevo. Motivo di queste violenze è stato un articolo pubblicato da Radio Sarajevo sulla condanna di cinque anni inflitta in Bielorussia ad un ultras del Sarajevo per possesso di cocaina. Le indagini della polizia hanno portato all’arresto di due persone coinvolte nell’azione mentre il 30 settembre l’Associazione dei giornalisti della Bosnia (BHJA) ha organizzato una manifestazione di protesta davanti la sede del club per denunciare l’accaduto e condannare le minacce ricevute dai corrispondenti della Radio.
Poche settimane prima la BHJA aveva denunciato un altro caso che aveva visto coinvolti i cronisti di RTV Zenica vittime di continue pressioni e censure da parte degli amministratori locali riguardo il lavoro d’inchiesta sull’inquinamento prodotto dall’acciaieria della Arcelor Mittal di Zenica, nella Federazione di Bosnia-Erzegovina. Proprio in seguito ad una denuncia giornalistica il sindaco del paese, Fuad Kasumović, aveva deciso di licenziare con un atto unilaterale l’Organismo di vigilanza di RTV Zenica con la motivazione che il lavoro dei media avrebbe potuto mettere in discussione il futuro dell’azienda e, di conseguenza, lo sviluppo del territorio. La BHJA considera questi episodi come un attacco alla libertà di espressione, di critica e al libero svolgimento del proprio lavoro.
Intimidazioni e aggressioni fisiche hanno coinvolto anche i cameraman della Radio cantonale Tuzla durante un loro lavoro sulla miniera di Šikulje a Lukavac. Durante le riprese di un servizio che denunciava gli sfratti nelle vicinanze della miniera, i lavoratori della compagnia di sicurezza privata hanno danneggiato la telecamera di un cameraman impedendone così le riprese. Anche in questo caso la direzione ha giustificato l’accaduto affermando di voler proteggere l’immagine dell’azienda.
Non diversa la situazione nella Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba del paese. Durante la conferenza di fine anno dello scorso 30 dicembre il presidente Mirolad Dodik, già noto per le sue antipatie verso i media indipendenti e contrari alla sua politica, aveva attaccato pubblicamente il corrispondente della Televisione BN di Bijeljina (BNTV) tacciandolo di essere uno dei “distruttori della Republika Srpska” per il suo lavoro critico nei confronti dell’operato del presidente. Pochi mesi dopo, ai lavoratori di BNTV e della Televisione alternativa di Banja Luka (ATV) è stato impedito di seguire la consultazione popolare sulla revoca del sindaco della città di Teslić. Vittime di intimidazioni durante tutta la giornata, il lavoro dei cronisti è stato criticato dal sindaco Milan Miličević che si era detto “non soddisfatto” del lavoro delle due emittenti.
Le ingerenze politiche nel lavoro dei media è ben rappresentata anche dal comportamento tenuto dai partiti nel caso delle nomine dei dirigenti di JP Television Sarajevo (TVSA). A luglio la BHJA ha denunciato pubblicamente le interferenze dell’Assemblea cittadina e del governo del Cantone di Sarajevo, fondatore della TV, per le pressioni esercitate nell’elezione del nuovo management. Il Partito di Azione Democratica (SDA) aveva infatti condotto una campagna diffamatoria sui social network contro la giornalista Kristina Ljevak, nominata direttrice di TVSA, considerata troppo poco patriottica.
Uno degli aspetti più insopportabili della questione sulle limitazioni al lavoro dei giornalisti indipendenti è senza dubbio quello relativo al forte sessismo che colpisce le giornaliste del paese. La piattaforma regionale Safejournalist.net fondata nel 2016 con l’assistenza finanziaria dell’UE e composta da associazioni di giornalisti e sindacati dei media nei paesi dei Balcani occidentali ha denunciato oltre 34 attacchi a giornaliste donne in Bosnia dal 2015 ad oggi. Le giornaliste sono quindi soggette ad una doppia discriminazione, in quanto croniste e in quanto donne, e vittime di pressioni ulteriori rispetto ai propri colleghi uomini. Le discriminazioni di genere sono ancora piuttosto diffuse in tutti i rami della società bosniaca e il settore del giornalismo non è esente da queste dinamiche. Le donne spesso non vengono valutate per il loro lavoro (a meno che, come visto, non sia contrario agli interessi politici del momento) ma in base al loro aspetto fisico, alla predisposizione a lavorare più dei colleghi uomini o alla propria vita privata.
Per contrastare il sessismo dilagante a metà luglio è nata la Rete delle Giornaliste volta a rafforzare la lotta delle donne per il riconoscimento dei loro diritti. L’obiettivo della rete non è quello di chiedere l’emanazione di leggi speciali per tutelare il loro lavoro quanto piuttosto quello di dotarsi di uno strumento di supporto, condivisione e attivismo in grado di contribuire al superamento di ogni forma di discriminazione di genere e di sensibilizzare i propri colleghi uomini, troppo spesso poco solidali. Nena News