Si fanno sempre più stretti i legami tra Il Cairo e Khartoum, che stringono un trattato di collaborazione militare, in chiave anti-etiope. Sullo sfondo il conflitto sulla Grande Diga della Rinascita
di Marco Santopadre
Roma, 9 marzo 2021, Nena News – Lo scorso 6 marzo il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha compiuto una visita in Sudan insieme a una delegazione di alto livello. A Khartoum Al Sisi ha incontrato il generale Abdel Fatah al Burhan, presidente del Consiglio militare di Transizione, di fatto il governo del paese africano, e poi il primo ministro, il generale Mohamed Daklu.
La visita segna un ulteriore avvicinamento tra i due paesi sul fronte diplomatico, politico e anche militare. Pochi giorni prima, infatti, Egitto e Sudan hanno firmato un accordo di cooperazione militare che include attività di formazione, addestramento e scambio di esperienze allo scopo di rafforzare la sicurezza dei confini e la sicurezza nazionale dei due paesi.
L’accordo di cooperazione militare prevede lo svolgimento di esercitazioni congiunte, la “riabilitazione” e il controllo delle frontiere e la condivisione di esperienze militari e di sicurezza. In passato gli eserciti di Sudan ed Egitto sono stati strettamente legati da diversi accordi di difesa, tuttavia il deterioramento delle relazioni avvenuto durante gli anni della presidenza di Omar al Bashir – destituito nel 2019 da un golpe militare preceduto da mesi di proteste popolari – ha allontanato Khartoum dal Cairo.
A riavvicinare i due paesi, ora, la situazione in Libia e le tensioni tra Sudan ed Egitto da una parte e l’Etiopia dall’altra per la gestione delle acque del Nilo. Addis Abeba sembra infatti decisa a procedere ad un riempimento unilaterale del bacino della Grande Diga della Rinascita (Gerd) che potrebbe ridurre in maniera significativa la portata d’acqua del fiume con gravi ricadute sull’approvvigionamento idrico civile ed agricolo in Sudan ed Egitto.
Inoltre negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli scontri in alcune aree di confine tra Sudan ed Etiopia, in particolare nel “triangolo di Fashqa” rivendicato e più volte occupato dalle forze di Addis Abeba. Il governo di Khartoum – secondo quanto riporta l’agenzia ufficiale Suna – ha anche accusato quello etiope di aver fornito armi e munizioni al gruppo ribelle sudanese denominato “Movimento di liberazione del popolo sudanese-Nord”, per attaccare la città di confine di Yabous, nello Stato del Nilo Azzurro.
La situazione si è fatta così tesa che la visita di Al Sisi a Khartoum ha alimentato speculazioni su una possibile e imminente azione militare congiunta dei due paesi contro Addis Abeba nonostante, nell’incontro con Al Burhan, il capo dello Stato egiziano abbia definito “inevitabile” un ritorno “urgente” al tavolo delle trattative sulla Gerd “per raggiungere un accordo giuridicamente vincolante prima della stagione delle piogge”, mediato dall’Unione Africana, dall’Onu, dall’Unione Europea e dagli Usa.
In un recente incontro, i ministri degli Esteri di Egitto e Sudan hanno avvertito che qualsiasi riempimento unilaterale della Grande diga da parte dell’Etiopia rappresenterebbe una minaccia diretta contro la sicurezza idrica di entrambi i paesi e quindi le condizioni di vita di decine di milioni di persone, oltre che una grave violazione della “Dichiarazione dei principi” che i tre paesi hanno firmato il 23 marzo 2015.
Recentemente l’Egitto ha incassato anche il sostegno della Lega Araba nel contenzioso con l’Etiopia che si è detta disponibile a continuare le trattative con Khartoum e il Cairo, ribadendo però il suo rifiuto di internazionalizzare il dossier. Il problema è che le trattative mediate lo scorso anno dall’Unione Africana sono sostanzialmente approdate a un nulla di fatto mentre Addis Abeba ha già iniziato, nel 2020, a riempire la diga.
La “Grand Ethiopian Renaissance Dam”, la cui realizzazione è iniziata nel 2011 a soli 20 km dalla frontiera col Sudan, è ormai conclusa da tempo e il sospetto di Sudan ed Egitto è che il presidente etiopico Abiy Ahmed stia mandando per le lunghe la trattativa proprio per mettere i vicini davanti al fatto compiuto. L’opera, lunga 1780 metri e alta 155, è costata quasi finora 4,7 miliardi di dollari e a pieno regime potrebbe alimentare una enorme centrale idroelettrica in grado di produrre ben 6500 MegaWatt di energia elettrica che il paese potrebbe in parte esportare. La diga realizzata sul Nilo Azzurro potrebbe inoltre permettere all’Etiopia di irrigare e rendere quindi fertili milioni di ettari di territorio.
Ma l’Egitto, paese prevalentemente desertico di più di 100 milioni di abitanti, fa affidamento sulle acque del fiume per il 90% del suo fabbisogno idrico e una contrazione della portata potrebbe causare conseguenze disastrose non solo sull’agricoltura ma anche sull’approvvigionamento di acqua potabile e sulla produzione di elettricità da parte delle centrali collegate alla diga di Assuan.
Di fatto il 95% dell’intera popolazione egiziana vive sulle due sponde del fiume o nella zona del delta, e un’alterazione del corso d’acqua preoccupa enormemente le autorità del paese. Sicuramente il governo egiziano utilizza il conflitto con l’Etiopia per fini propagandistici interni e per alimentare il collante nazionalista, ma è pur vero che secondo vari studi – citati dalla tv satellitare al Jazeera– se la Gerd fosse riempita in dieci anni, l’Egitto potrebbe perdere fino al 14% dell’acqua e al 18% dei terreni coltivabili; se invece il riempimento avvenisse in sette anni il danno salirebbe rispettivamente al 22 e al 33%; se il riempimento avvenisse in soli cinque anni, potrebbero sparire fino al 50% delle terre agricole insieme a più di un milione di posti di lavoro.
Se non si arriverà velocemente ad un accordo equo l’opzione di un conflitto tra Egitto (e Sudan) ed Etiopia potrebbe affermarsi come l’unica considerata risolutiva. Nena News