In un rapporto pubblicato lunedì, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) ha descritto ciò che definisce il maggiore sfollamento di persone registrato a Gaza dal 1967
di Rosa Schiano
Roma, 7 luglio 2015, Nena News – Durante l’offensiva israeliana della scorsa estate, denominata Margine Protettivo, almeno 12.620 abitazioni furono completamente distrutte e 6.455 furono gravemente danneggiate, causando lo sfollamento di 17.670 famiglie, ovvero circa 100.000 persone, si legge in un rapporto pubblicato lunedì dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) . All’apice del conflitto, circa 485.000 persone – il 28% della popolazione – erano sfollate, incluso quasi 300.000 in 90 rifugi di emergenza UNRWA. A partire dal cessate il fuoco del 26 agosto 2014, gli sfollati ospitati nei centri della UNRWA si sono trasferiti gradualmente in strutture alternative, con gli ultimi centri chiusi nel giugno 2015.
A distanza di quasi un anno dall’inizio delle ostilità, non una singola abitazione tra quelle totalmente distrutte è stata ricostruita a Gaza; ci si aspetta che primi passi sul campo siano fatti nella seconda metà del 2015, afferma il rapporto. Donatori hanno recentemente pagato un totale di 125 millioni di dollari per la ricostruzione di circa il 20% delle abitazioni completamente distrutte (secondo Shelter Cluster, Maggio 2015). Altre 150.000 abitazioni hanno subito vari gradi di danni ma restano abitabili; il rapporto riferisce che parte delle famiglie colpite hanno acquistato materiale da costruzione sotto il Meccanismo di Ricostruzione di Gaza (GRM), implementato al fine di facilitare le importazioni che subiscono restrizioni a causa del blocco israeliano. Tuttavia, meno dell’ 1% dei materiali da costruzione necessari per ricostruire e riparare le case distrutte e danneggiate durante il 2014 e le precedenti ostilità sono entrati a Gaza (Shelter Cluster, Giugno 2015). Solo parte delle famiglie sfollate hanno ricevuto una somma di circa 200-250 dollari al mese per un periodo di 4-6 mesi, e un sovvenzionamento di 500 dollari per la sostituzione degli utensili per la casa.
Le condizioni di vita degli sfollati palestinesi, attualmente ospitati in famiglie, o in appartamenti in affitto, unità abitative prefabbricate, tende e rifugi fatti a mano, o nelle macerie delle proprie abitazioni, destano preoccupazione per diverse ragioni, fra cui l’accesso limitato ai servizi essenziali, la mancanza di privacy, le tensioni interne, i rischi dovuti a ordigni inesplosi, l’esposizione a temperature estreme. In questa situazione maggiormente vulnerabili sono bambini, donne, persone con disabilità, anziani, e coloro che soffrono di malattie croniche.
La mancata ricostruzione non fa quindi che protrarre la sofferenza degli sfollati. Il rapporto ne attribuisce le responsabilità all’incapacità del governo palestinese di unità nazionale di svolgere le proprie funzioni nella Striscia a causa delle continue divisioni, alle continue restrizioni israeliane sull’importazione di materiale da costruzione definiti “beni a doppio uso”, e agli Stati che pagano a rilento le somme promesse per la ricostruzione. Il rapporto afferma che se questa fosse realizzata in un periodo di tempo ragionevole, si potrebbe altresì evitare una nuova spirale di violenza, unitamente a un necessario sollevamento delle restrizioni sulle importazioni dei materiali da costruzione, oltre che a una tempestiva mobilitazione di risorse da parte della comunità internazionale.
Al rapporto si è aggiunto un appello pubblicato oggi e diffuso attraverso un comunicato stampa in cui Robert Piper, Coordinatore umanitario per i Territori Palestinesi chiede una accelerazione nel processo di ricostruzione, richiesta esplicitamente rivolta a quei paesi che si erano impegnati nella conferenza dei donatori tenutasi lo scorso ottobre al Cairo.
Le promesse di ottobre sono infatti pressoché rimaste promesse. Mercoledi sarà un anno dall’inizio dell’offensiva. Molti a Gaza dicono di aver perso ogni speranza. Ci sono giovani che vorrebbero completare il proprio percorso di studi interrotto per poter aiutare le proprie famiglie e trovare un lavoro dignitoso. Tuttavia, la maggior parte di essi ritiene che l’unica possibilità che hanno per costruire un proprio futuro è emigrare. Una scelta che farebbero in tanti, se i valichi fossero aperti.
Le macerie accompagnano il comune senso di disperazione e impotenza di una popolazione che da troppi anni soffre incessanti restrizioni, povertà e il più alto tasso di disoccupazione al mondo. Nena News
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