Anche il continente africo è stato coinvolto nello scandalo globale che ha come protagonista lo spyware sviluppato e commercializzato dalla società informatica israeliana NSO Group che consente la sorveglianza remota degli smartphone. Nel mirino: giornalisti, oppositori e attivisti per i diritti umani
di Federica Iezzi
Roma, 7 agosto 2021, Nena News – Anche l’Africa è stata coinvolta nello scandalo globale che ha come protagonista lo spyware Pegasus, sviluppato e commercializzato dalla società informatica israeliana NSO Group, che consente la sorveglianza remota degli smartphone.
Un consorzio di 17 testate giornalistiche coordinato dalla piattaforma indipendente Forbidden Stories, in collaborazione con il Security Lab di Amnesty International, ha annunciato che circa 50.000 numeri di telefono sono stati presi di mira dal potente programma. Ufficialmente destinato a identificare criminali e terroristi, il software è finito nelle mani di Paesi in cui la maggior parte degli obiettivi sono diventati giornalisti, oppositori, avvocati e attivisti per i diritti umani.
Questo tipo di tecnologia sembrava al di fuori della portata dei regimi africani. E poi nella dimostrazione del quadro di utilizzo, compaiono nell’elenco schiacciante della ‘Pegasus Gates’ tre Paesi del continente africano: Marocco, Rwanda e Togo.L’utilizzo del software in Africa può essere facilmente spiegato, visto che in termini di sicurezza, cinque dei Paesi africani si classificano tra i primi 10 meno pacifici del pianeta, secondo l’edizione 2021 del Global Peace Index.Il presidente francese Emmanuel Macron ha invitato il primo ministro israeliano Naftali Bennett a proseguire un’indagine sulle accuse sollevate nel rapporto, secondo cui sarebbe controllato dal Marocco.
I delicati rapporti affermano che i servizi segreti del Marocco sorvegliavano strettamente giornalisti detenuti, l’ex primo ministro francese Edouard Philippe, il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus. Naturalmente il governo marocchino, visto che dipende in larga misura dal sostegno diplomatico francese, ha negato di utilizzare lo spyware Pegasus, definendo la segnalazione ‘mendace e malevola’.
Nella lista è apparso anche il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, presumibilmente tallonato dal governo del Rwanda. Le relazioni tra Kigali e Pretoria sono state tese da quando l’ex capo dell’intelligence rwandese in esilio Patrick Karegeya, un critico del presidente Paul Kagame, è stato assassinato a Johannesburg nel 2013. I due Paesi hanno lavorato per migliorare le relazioni politiche bilaterali, con il recente incontro tra il ministro degli Esteri rwandese Vincent Biruta e la controparte sudafricana Naledi Pandor. Le tensioni si sono riaccese dopo che il Mozambico ha chiaramente preferito un intervento rwandese, durante le sommosse jihadiste a Cabo Delgado, a uno regionale guidato dal Sudafrica.
Secondo l’analista François Conradie dell’NKC African Economics, il governo Kagame avrebbe usato la strumentazione di Pegasus per inseguire altri disertori del regime, tra cui Paul Rusesabagina, ex direttore dell’Hôtel des Mille Collines a Kigali, che notoriamente diede rifugio a Tutsi e Hutu moderati durante il genocidio rwandese nel 1994. Da quando ha lasciato il Rwanda nel 1996, Rusesabagina è schedato come feroce critico del Fronte Patriottico Rwandese di Kagame. È stato arrestato lo scorso anno con accuse di terrorismo in relazione alla sua affiliazione con il National Liberation Front, braccio armato della piattaforma di opposizione rwandese MRCD-UBUMWE.
E almeno 300 contatti togolesi tra attivisti, giornalisti e oppositori politici, compaiono nell’elenco dei potenziali obiettivi di Pegasus. Il Togo è uno dei Paesi africani più vicini allo stato ebraico. Rigorosamente controllati gli oppositori del regime di Faure Gnassingbé. È il caso di Tikpi Atchadam, leader del Partito Nazionale Panafricano, e Agbéyomé Kodjo, ex primo ministro togolese.
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