Ahmed Medhat morto per emorragia mentre si trovava in custodia da un solo giorno. La famiglia chiede un’inchiesta. Resta in prigione anche Ismail Khalil, torturato da un anno, nonostante l’ordine di rilascio
della redazione
Roma, 1 settembre 2016, Nena News – La macchina della repressione guidata dalla polizia egiziana non si ferma. Mentre l’Italia aspetta il nuovo incontro a Roma tra la Procura italiana e gli inquirenti egiziani sul caso Regeni previsto per l’8 settembre, al Cairo un altro giovane è morto nelle mani dei poliziotti.
Ahmed Medhat, studente di medicina, è morto lunedì mentre si trovava in una caserma della capitale. La famiglia ha visto il corpo il giorno dopo e subito accusato la polizia di averlo ucciso. Secondo le prime informazioni disponibili dall’autopsia, il giovane è morto per una frattura alla testa e la conseguente emorragia.
L’avvocato della famiglia Medhat, Ahmed Saad Sabah, ha già chiesto l’apertura di un’inchiesta. Lo studente era stato arrestato lo stesso giorno, lunedì, alle 8.30 di mattina. Era stato condannato a febbraio in contumacia a due anni di prigione per proteste non autorizzate a cui aveva partecipato nel 2015, un reato con cui il regime egiziano ha messo dietro le sbarre migliaia di persone, attivisti e semplici cittadini, sulla base della nuova legge anti-terrorismo voluta dal presidente al-Sisi.
Secondo quanto raccontato dal fratello di Ahmed, il giovane è morto la sera, alle 23.30. Si trovava, ovviamente, in mano alla polizia. Che dà la sua versione dei fatti: lo studente si è ferito mortalmente alla testa mentre cercava di fuggire dalla camionetta che lo portava in caserma. Una versione che sembra non reggere: l’avvocato Sabah spiega che le ferite alla testa non presentano i graffi tipici di una caduta.
Come nel caso di Regeni, quando le autorità egiziane parlarono di omicidio nato in ambienti omossessuali, anche stavolta la polizia prova a utilizzare un espediente simile: Ahmed sarebbe stato arrestato in un raid in unca casa di prostituzione a Nasr City. Nel corso degli arresti, un ragazzo – non specificano chi – avrebbe tentato di fuggire saltando dal secondo piano dell’edificio.
Con la macchina della repressione si attiva dunque anche quella della propaganda, dell’insabbiamento dei fatti tipico del regime egiziano. La situazione non è affatto cambiata negli ultimi mesi, quando l’attenzione internazionale cominciò a concentrarsi sugli abusi compiuti contro la società civile dal governo. L’attenzione è calata e al-Sisi è tornato senza problemi a giocare il suo ruolo di “stabilizzatore” regionale. Così non è: l’Egitto sopravvive solo grazie al denaro e ai prestiti del Golfo e del Fondo Monetario Internazionale che gli permettono di restare a galla. Ma la crisi economica e sociale morde come mai prima, creando l’humus per una futura destabilizzazione interna.
Oggi i media indipendenti egiziani hanno parlato anche di un altro caso, quello di Ismail Khalil: scomparso nel maggio del 2015, sottoposto a torture e violenze per oltre un anno, il 27enne aveva finalmente ricevuto da un tribunale la possibilità di uscire su cauzione, 50mila sterline egiziane (più di 5mila euro). La famiglia ha pagato il 23 agosto, ma una settimana è già trascorsa e Khalil è ancora in prigione. E le torture continuano, denuncia Amnesty International, che ha chiesto l’immediato rilascio a causa del peggioramento grave delle sue condizioni di salute. Nena News