Sotto al-Sisi la popolazione egiziana si è impoverita e nuovi aumenti dei prezzi colpiscono le classi più deboli. Il malcontento è diffuso e radicato ma manca un fronte organizzato anti-governativo, disintegrato dalla repressione di Stato
di Pino Dragoni – Il Manifesto
Roma, 5 luglio 2017, Nena News – Al-Sisi procede ormai senza freni sulle tappe dell’austerity imposta dal Fondo monetario. L’ultima stangata è arrivata proprio alla vigilia del quarto anniversario della rivolta del 30 giugno 2013, che aprì la strada al golpe militare del 3 luglio.
Il 29 giugno infatti, senza preavviso, sono stati annunciati nuovi pesanti tagli ai sussidi sui carburanti, dopo quelli già scattati a novembre 2016. Così, quello che doveva essere un momento di celebrazioni per la «Grande Rivoluzione» si è trasformato in un giorno amaro per una popolazione già stremata dalla crisi economica. I tagli riguardano benzina, gasolio e gas, ma colpiscono in maniera più pesante poveri e classi medie, i principali beneficiari del sistema dei sussidi. Gasolio e benzina 80 ottani (quelli più usati nei trasporti pubblici e privati) hanno subito un aumento del 55%, mentre i carburanti per le auto moderne e di lusso sono aumentati solo del 5%.
Il rincaro più drammatico riguarda le bombole di gas comunemente usate in cucina da milioni di egiziani, soprattutto i più poveri. Il prezzo, che già a novembre era salito da 8 a 15 lire egiziane, ora è passato a 30 lire, triplicando di fatto nel giro di pochi mesi.
E non finisce qui. Perché per ottenere il prestito di 12 miliardi di dollari dal Fmi l’accordo prevede che entro il 2019 l’Egitto elimini i sussidi sui carburanti, che oggi costano allo stato 8 miliardi all’anno. Per raggiungere l’obiettivo prefissato, si dovrà procedere a nuovi tagli nel giro dei prossimi mesi. E tra luglio e agosto sono già stati annunciati aumenti per elettricità e acqua.
Il regime promette che investirà in sicurezza sociale per favorire le fasce più svantaggiate, ma per ora nessuna misura concreta è stata approvata. Secondo una fonte citata da The New Arab, i servizi di sicurezza avrebbero messo in guardia il governo dall’adottare misure così pesanti, considerando il rischio di una rabbiosa reazione popolare.
Alla notizia dei tagli giovedì sera un improvvisato corteo di automobili ha bloccato uno dei principali ponti del Cairo, con striscioni e slogan contro il carovita. Il giorno dopo sei giovani sono stati arrestati per la protesta. Altre sei persone sarebbero state arrestate nel Delta, con l’accusa di essere Fratelli Musulmani che «pianificavano di sfruttare gli aumenti di prezzi per fomentare il dissenso». Sul piano economico e sociale i quattro anni di al-Sisi sono stati devastanti, nonostante le aspettative create dal golpe dopo un anno altrettanto disastroso di governo islamista.
Il malcontento ormai è forte e diffuso, ma grosse esplosioni di protesta non se ne sono viste, e comunque gli apparati repressivi sono in stato di allerta e pronti a soffocare sul nascere ogni iniziativa. Eventuali sommosse (non improbabili) rischiano di finire in bagni di sangue. Ma non è tanto la paura a frenare la protesta. Milioni di egiziani hanno dimostrato negli ultimi anni di essere disposti a sfidare le forze di sicurezza. Eppure la frustrazione accumulata, l’incapacità del movimento di piazza di generare cambiamenti sociali radicali e la mancanza di una prospettiva politica alternativa scoraggiano nuove iniziative.
L’opposizione di sinistra, anche se indebolita da arresti e denunce, si sta sforzando di compattare il fronte con appelli all’unità a partire dalle misure di austerità e l’impoverimento. I principali partiti di sinistra rilanciano la strada dell’opposizione sociale al regime e promettono appoggio e solidarietà a tutte le iniziative sindacali, operaie e popolari. Se è palese che la sinistra egiziana oggi non ha quasi nessuna capacità di mobilitare e organizzare il dissenso, è anche vero che su alcune questioni e intorno ad alcune figure potrebbero catalizzarsi le energie per un nuovo slancio del movimento di massa.
Non è un caso che la repressione abbia colpito anche figure di spicco come Khaled Ali, avvocato che ha guadagnato enorme popolarità per la causa vinta contro la cessione di due isole all’Arabia Saudita. Ali, direttore del Centro per i diritti economici e sociali (impegnato sul fronte delle lotte sociali e sindacali) e leader del partito Pane e Libertà, ha da mesi annunciato la sua intenzione di candidarsi alle presidenziali del 2018. E la visibilità ottenuta dalla vicenda delle isole potrebbe dare non poco slancio alla sua corsa elettorale. Ora, per colpa di una accusa ridicola (aver fatto un gesto osceno in tribunale) rischia di restare escluso dalla candidatura. Prossima udienza per lui fissata al 24 luglio.