Ieri le autorità egiziane hanno arrestato due persone e dichiarato che le ragioni dell’uccisione sono meramente “criminali, non politiche”. Parole che destano dubbi al Cairo. Oggi nella capitale gli egiziani lo commemorano mentre si moltiplicano i messaggi sui social network che chiedono verità
della redazione
Roma, 06 febbraio 2016, Nena News – Il dolore per la brutale uccisione di Giulio Regeni unisce l’Italia all’Egitto. Lo ha espresso con parole dense di sofferenza Mona Seif, una nota attivista egiziana, sorella di Alla Abd El-Fattah. Ventinove anni, uno in più del ricercatore di Cambridge, Mona ha scritto un messaggio su Facebbok diretto a tutti gli stranieri: “Questo è un messaggio sincero. Se siete stranieri, per favore, non venite in Egitto. O almeno, non ora. Non fino a quando non saremo in grado di garantirvi un minimo di sicurezza e di trattamento appropriato dalla gente e le autorità”.
Mona parla di tutto, della paura, del clima repressivo, delle torture, delle detenzioni. Un clima ormai radicato in Egitto e figlio di anni di rivoluzioni e colpi di Stato. Cosa sia successo a Giulio è ancora un mistero. Di certo ci sono gli inequivocabili segni di tortura sul suo corpo, martoriato e poi abbandonato per strada, segni che a molti ricordano le torture subite da attivisti o semplici cittadini finiti tra le mani di polizia o servizi segreti.
Di prove non ce ne sono. Ieri due persone sono state arrestate al Cairo, per un sospetto legame con la morte di Giulio. Le autorità dicono che l’omicidio non avrebbe ragioni “politiche o terroriste”, ma che si sarebbe trattato di un puro “atto criminale”. Una spiegazione che, in Egitto, convince poco: perché dei criminali avrebbero dovuto torturare e uccidere in questo modo un giovane italiano? Le domande sono tante e a porsele è soprattutto il mondo dell’attivistmo egiziano: oggi alle 16 il gruppo “The Januarians” ha organizzato una commemorazione di fronte all’ambasciata italiana per il giovane. Si moltiplicano i messaggi su Twitter, da account egiziani, che ricordano Giulio e chiedono verità al proprio paese. In molti rilanciano la petizione di due accademici di Cambridge, destinata al presidente al-Sisi e che chiede un’inchiesta seria e trasparente.
Dei due arrestati non si sa nulla. Non si sa se siano egiziani o stranieri, né cosa abbiano detto (se hanno parlato) durante l’interrogatorio seguito al loro arresto. Le autorità egiziane hanno promesso di rivelare di più a breve, insistendo sulla natura criminale della morte di Giulio.
Il suo corpo arriverà oggi in Italia, dove sarà sottoposto ad un’autopsia alla Sapienza di Roma. Gli investigatori sperano di scoprire di più, di capire se sia morto poco dopo la scomparsa, la notte del 25 gennaio, anniversario della rivoluzione. O se sia morto poco prima del ritrovamento, la sera del 3 febbraio. Giovedì il procuratore del Cairo, Ahmed Nagy, aveva chiaramente parlato di “segni di torture”, smentendo le dichiarazioni iniziali della polizia secondo la quale il giovane sarebbe morto in un incidente stradale. Molto poco credibile. Ma per ora il Ministero degli Interni si trincera dietro un no comment, riporta il quotidiano di Stato Al-Ahram, in attesa di riscontri.
Le autorità italiane si dicono certe della collaborazione nelle indagini della controparte egiziana. Ieri lo ripeteva il ministro degli Interni, Angelino Alfano: “Le buone relazioni con l’Egitto faranno da lubrificante per la ricerca della verità”. Di certo le buone relazioni non mancano: il premier italiano fu il primo a volare al Cairo dopo il golpe orchestrato dal generale al-Sisi, poi diventato presidente. E al-Sisi tributò la prima visita ufficiale all’estero proprio a Roma.
Giovedì, il giorno dopo il ritrovamento del corpo senza vita del giovane, al-Sisi e Renzi hanno discusso la questione al telefono: il presidente egiziano ha garantito massima cooperazione, ricevendo il plauso del premier italiano. Ne hanno approfittato per confermare l’intenzione di rafforzare i rapporti economici tra i due paesi.
Proprio questo fa temere a molti, in Egitto ma anche in Italia, che il caso potrebbe essere chiuso attribuendo la morte di Giulio a qualche facile capro espiatorio, criminali comuni o magari poliziotti che avrebbero agito abusando della propria posizione. Cani sciolti, come se la repressione delle voci critiche in Egitto non sia da anni, decenni, una politica di controllo della popolazione.
Resta il dolore per la morte brutale di un giovane, un ricercatore brillante, appassionato, che aveva fatto del mondo sindacale e dei diritti del lavoro la sua ragione di studio. La nostra redazione ha sempre avuto a cuore questi temi e per questo ha pubblicato un articolo proposto da Giulio, dietro pseudonimo, il 14 gennaio scorso. L’unico che ci ha mandato e che sia mai stato pubblicato su queste pagine. Ci uniamo al dolore della famiglia e degli amici. A questo link il nostro comunicato. Nena News