La prima reazione israeliana alla decisione della compagnia statunitense di rimuovere dai propri elenchi le case in affitto negli insediamenti nei Territori Occupati: “Discriminazione e antisemitismo”
della redazione
Roma, 23 novembre 2018, Nena News – A quattro giorni dall’annuncio di Airbnb di cancellare gli annunci di stanze e appartamenti in affito nelle colonie israeliane in Cisgiordania, arriva la prima denuncia. Una class action dei coloni contro la compagnia statunitense per “discriminazione”, politicamente sostenuta dal ministro degli Affari strategici di Israele, Gilad Erdan, che aveva subito fatto appello a misure simili nel rispetto della legge contro il boicottaggio.
A presentarla alla corte distrettuale di Gerusalemme è stato Ma’anit Rabinovich, colono israeliano residente nell’insediamento di Kida, nel nord della Cisgiordania. Rabinovich ha citato in giudizio Airbnb parlando di “discriminazione grave, offensiva e oltraggiosa” e ha chiesto 15mila shekel, 2.573 dollari, di danni personali per lui e per i coloni “affittuari” nella stessa situazione.
“La decisione della compagnia è diretta solo contro cittadini israeliani che vivono nelle colonie – ha scritto l’avvocato del colono – È parte di una lunga guerra condotta da organizzazioni,in gran parte antisemite, contro lo Stato di Israele nella sua interessa e contro gli israeliani nelle colonie in particolare”.
In tale dichiarazione sta tutta la narrativa israeliana di controffensiva del boicottaggio: definire le organizzazioni e i soggetti che lo promuovono come antisemiti – creando dunque una voluta confusione tra giudaismo e sionismo, tra ebrei e Stato di Israele – e considerare legittima la colonizzazione dei Territori Occupati, illegale secondo il diritto internazionale. Eppure Airbnb non ha cancellato le case in affitto dentro lo Stato di Israele, smentendo subito ogni possibile accusa di antisemitismo.
Ora Airbnb potrebbe dover affrontare una pioggia di denunce, visto il numero di case nelle colonie che venivano affittate a turisti negli ultimi anni, circa 200. A sostenere la compagnia di San Francisco – che ha giustificato la sua decisione su pressione di persone che “ritengono che le società non dovrebbero fare profitto da terre da cui altre persone sono state cacciate” – non solo il Bds ma anche altre organizzazioni per i diritti umani, tra cui Human Rights Watch. Ma anche l’Olp: “Airbnb ha preso una decisione nella giusta direzione, interrompere i rapporti con le colonie israeliane, in linea con la legittimità internazionale”, ha commentato Wasel Abu Youssef, dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
Dopotutto era stata proprio la campagna Bds, nata nel 2005 dalla società civile palestinese, a esercitare da anni pressioni su Airbnb perché impedisse ai coloni di fare ulteriore profitto da case costruite su terre palestinesi e in violazione delle risoluzioni dell’Onu. Nena News