Otto anni di carcere per il legale Abdul Aziz al-Shubaily dell’organizzazione Hasem, da anni impegnata a difesa dei diritti umani e politici nel regno wahhabita. Domenica, intanto, è tornato ad agire il boia per la 95esima volta dall’inizio dell’anno. Riyad e Teheran non trovano una intesa sul sacro pellegrinaggio alla Mecca
della redazione
Roma, 31 maggio 2016, Nena News – Nuovo duro attacco delle autorità saudite contro chi prova a difendere i diritti civili e umani nel regno wahhabita: ieri un tribunale locale ha condannato l’attivista Abdul Aziz al-Shubaily (31 anni) a otto anni di carcere. Al-Shubaily era il rappresentante legale nonché l’ultimo fondatore ancora in libertà dell’Associazione saudita per i diritti politici e civili (conosciuta in arabo con l’acronimo di Hasem). Hasem ha attualmente 11 membri condannati complessivamente a 92 anni di carcere: 7 su 11 sono già dietro le sbarre, gli altri 4 aspettano che le loro pene vengano implementate.
Secondo quanto rivela Amnesty International (AI), al-Shubaily è stato processato domenica dalla Corte criminale speciale, un tribunale stabilito per trattare esclusivamente casi di terrorismo, ma che nel corso degli anni ha messo sotto processo molti attivisti perché considerati da Riyad “rischi per la sicurezza nazionale”. La legge anti-terrorismo del 2014 definisce con “terrorismo” anche atti vaghi come “la diffamazione della reputazione dello stato”.
La pena che dovrà scontare al-Shubaily non si ferma alla detenzione in carcere. Secondo quanto riferisce Amnesty, infatti, il giovane non potrà lasciare il Paese per otto anni dopo il suo rilascio e non potrà scrivere sui social network. L’attivista è stato condannato “per aver comunicato con organizzazione straniere”, per aver fornito ad AI informazioni successivamente utilizzate nei report dell’ong inglese, per aver istigato le persone a “infrangere l’ordine pubblico” ed infine aver accusato le forze di sicurezza di repressione e tortura.
La serie di arresti degli esponenti di Hasem è iniziata nel 2013 con Mohammed al-Qahtani e Abdullah al-Hamid (che scontano rispettivamente 10 e 11 anni di prigione ). Negli anni successivi sono stati arrestati altre decine di membri. Questo aprile è stato il turno di Issa al-Hamid, anche lui membro fondatore di Hasem nonché fratello di Abdullah. La sua condanna a 9 anni di carcere è stata duramente criticata da Amnesty che ha parlato “di un ampio e spietato attacco compiuto dall’Arabia Saudita contro la società civile”. Hasem è stata chiusa tre anni fa dalle autorità saudita. Un anno prima che fosse decisa la sua chiusura, l’organizzazione umanitaria e tre riformisti locali avevano firmato una petizione che chiedeva di rimuovere il Principe Nayef (allora Principe ereditario e Ministro degli Interni) dalla linea di successione al trono e di processarlo per le violenze compiute dalla polizia nei confronti dei detenuti.
Se gli attivisti non se la passano molto bene in Arabia Saudita, decisamente peggio è il trattamento di chi ha commesso un omicidio, stupro, furto, spaccia (o fa uso di droga), è accusato di stregoneria o di atto sessuale illecito. Domenica, infatti, è tornato ad agire il boia per la 95esima volta dall’inizio dell’anno: ad essere giustiziato è stato un nigeriano condannato per l’uccisione di un ufficiale di polizia. Le organizzazione umanitarie hanno più volte espresso preoccupazione per l’alto tasso di esecuzioni eseguite dall’Arabia Saudita negli ultimi anni: 158 solo nel 2015, un aumento del 76% rispetto al 2014. Ma i dati di quest’anno suggeriscono che il poco invidiabile “record” possa essere battuto: alcune ong temono che si possa raggiungere il numero di 100 esecuzioni entro i primi sei mesi del 2016 e 320 a fine anno.
Continua, intanto, ad essere molto lontana la pacificazione tra sauditi e iraniani per la questione del sacro pellegrinaggio alla Mecca. Per la seconda volta Riyad e Teheran non sono riusciti domenica a raggiungere una intesa sulla presenza dei cittadini iraniani al Hajj, tra i momenti più sentiti della religiosità islamica. Le tensioni tra le due parti derivano dal massacro dello scorso anno avvenuto durante le fasi conclusive del pellegrinaggio: i morti sono stati ufficialmente 769 (secondo alcune fonti, invece, a perdere la vita sono state circa 2.000 persone). Delle vittime accertate, almeno 400 erano iraniane.
La repubblica islamica sciita è al momento l’unico Paese islamico a non aver ancora firmato l’accordo: Tehrean accusa Riyad dello stallo diplomatico criticando le autorità locali per non aver fatto abbastanza in termini di sicurezza per evitare massacri simili a quelli dell’anno scorso. La tensione tra i due stati è recentemente aumentata per le esecuzioni con pena capitale dell’importante religioso sciita Sheykh Nimr an-Nimr di altri 46 sciiti “rei”, secondo Riyad, di crimini contro la monarchia.
Di fronte agli attacchi sciiti, le autorità saudite si difendono: dietro al rifiuto iraniano di giungere ad una intesa per l’Hajj vi è un movente politico. Intervistato dalla Reuters, un ufficiale locale lo ha detto chiaramente: “osserviamo una mancanza di serietà da parte della autorità iraniane nell’affrontare la questione. [Siamo di fronte ad] un altro tentativo di politicizzare il pellegrinaggio”. Se le due parti non dovessero raggiungere una intesa, gli iraniani non potranno compiere l’Hajj il prossimo settembre. Un segnale che metterebbe ancora di più a nudo la battaglia di potere tra le due principali potenze regionali. Nena News