La base elettorale di Uhuru Kenyatta è costituito da agricoltori di piccole-medie imprese agricole. Quella di Raila Odinga sono i suoi governatorati fortificati. In ogni caso nessuna delle due figure rappresenta il marchio del cambiamento per il Kenya
di Federica Iezzi
Roma, 1 agosto 2017, Nena News – Il prossimo otto agosto il Kenya voterà per le sue quinte elezione presidenziali a partire dalla fine dello stato unilaterale del 1991. Delle quattro elezioni precedenti, tre sono state alterate dalla violenza, compresa l’elezione 2007-2008, quando 1.100 persone sono state uccise e 650.000 sfollate, in cui il presidente in carica fu accusato di crimini contro l’umanità nei riguardi delle etnie Luo, Luhya e Kalenjin, all’epoca principali oppositori.
Gli ultimi sondaggi vedono in testa il presidente in carica Uhuru Kenyatta, con il 47% dei voti, appoggiati dal partito liberale Jubilee. Dall’opposizione risponde, con il 42% dei voti, il partito National Super Alliance (NASA), coalizione di centro-sinistra, con il suo candidato Raila Odinga.
Secondo la legge costituzionale kenyana dunque, almeno per adesso, nessun candidato ha abbastanza voti per superare la fatidica soglia del 50%, indispensabile per aggiudicarsi la vittoria. A questo si aggiunge più del 10% degli elettori registrati che non prevede di partecipare alle prossime elezioni.
Nel 2013 Kenyatta ebbe la meglio su Odinga per soli 4.000 voti, con la piaga dilagante dei voti invalidi.
In un Paese in cui l’80% della popolazione ha meno di 35 anni, solo il 13% per cento di coloro che corrono per cariche politiche, sono in quella fascia d’età. Questo dice qualcosa sulla politica paternalistica che il Kenya sta lottando per allontanare. Per anni i giovani non hanno avuto e continuano a non avere alcun ruolo nella politica nazionale del Paese. La macchina elettorale è ancora guidata da vecchi politici e vecchie politiche che non riflettono la volontà del giovane elettorato.
La base elettorale di Uhuru Kenyatta è costituito da agricoltori di piccole-medie imprese agricole che si aspettavano autorevoli investimenti nell’agricoltura, in cambio del loro sostegno alla candidatura del 2013 dello stesso Kenyatta. Promesse puntualmente disattese.
La base di Raila Odinga, sono i suoi governatorati fortificati, durante il suo mandato quinquennale come primo ministro. Il resto del Paese è inesistente. Nessuna delle due figure insomma rappresenta il marchio del cambiamento per il Kenya.
Oggi la differenza in Kenya la fanno le 47 contee, in cui è stato suddiviso il Paese nel 2010, ciascuna con un proprio bilancio e con le proprie strutture politiche. Dunque, la politica iper-locale salva gli elettori dalla delusione collettiva verso la politica nazionale. La politica di ciascuna contea ha un impatto reale sulla vita degli abitanti. Le strade che non esistevano ora esistono. I pozzi che prima non c’erano ora vengono scavati.
Secondo gli osservatori di Human Rights Watch, le contee di Mandera, Baringo South, Laikipia e Turkana, sono a più alto rischio di violenze elettorali. Al momento non è garantita nè un’adeguata sicurezza nel corretto espletamento delle operazioni di legge, né un’adeguata protezione verso i residenti. Nena News
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