Di nuovo arrestato Ahmet Altan, a 24 ore dalla scarcerazione. Resta in prigione il fratello Mehmet. Altro processo per Dundar e Gul. Ankara è il primo paese al mondo per giornalisti dietro le sbarre
della redazione
Roma, 23 settembre 2016, Nena News – La Turchia non è un paese per giornalisti. La micidiale stretta del presidente Erdogan, rinvigorita nell’ultimo anno di campagna militare contro i kurdi e negli ultimi mesi con la giustificazione del tentato golpe del 15 luglio, continua a mietere vittime. Oggi il paese è uno dei meno sicuri per la stampa, primo al mondo per giornalisti incarcerati: oltre 100 quelli dietro le sbarre, triplicati dopo il fallito putsch, e centinaia i media chiusi, tra giornali, tv, radio, siti web e agenzie stampa.
Le accuse sono tante e sempre diverse, ma tutte condite dallo stesso nazionalismo spicciolo: diffusione di notizie false, spionaggio, sostegno a organizzazione terroristica, che sia il kurdo Pkk o il movimento Hizmet dell’imam Gulen.
Ieri Ahmet Altan, noto giornalista turco e direttore del quotidiano Taraf, doveva essere rilasciato dal carcere. Ed è stato liberato, ma solo per 24 ore: subito dopo la polizia si è di nuovo presentata alla sua porta e lo ha ricondotto in prigione. L’accusa è di avere legami con Gulen, considerato il responsabile del fallito colpo di Stato. Mentre Ahmet veniva rilasciato, restava in prigione il fratello, il professor Mehmet Altan: per lui il reato contestato è tentata rimozione del governo e appartenenza a organizzazione terroristica, Hizmet appunto. A monte del primo arresto sta la partecipazione dei due fratelli Altan ad un talk show su Can Erzincan Tv, il giorno prima del golpe: secondo le autorità turche i loro interventi contenevano messaggi subliminali alle truppe che poche ore dopo avrebbero preso le strade di Istanbul.
Già arrestati insieme il 10 settembre, avevano sollevato lo sdegno internazionale: centinaia di giornalisti, accademici, intellettuali, scrittori hanno in queste settimane firmato petizioni che ne chiedevano l’immediata liberazione. Ma Erdogan ha altri piani: approfittare delle purghe di Stato per definire una volta per tutto il volto del paese e del suo sistema politico, un presidenzialismo autoritario dove non ci sia spazio alcuno per opposizioni e voci critiche, un nazionalismo filo-islamista e turco in cui le minoranze etniche e politiche siano schiacciate dal pensiero unico.
Ieri è stato un altro giorno di persecuzione anche per Can Dundar e Erdem Gul, rispettivamente direttore e capo redattore del quotidiano Hurriyet. Il calvario giudiziario iniziato lo scorso anno non è terminato: i due giornalisti sono stati protagonisti di un nuovo processo, stavolta legato al fallito golpe. Dal novembre del 2015 erano stati detenuti per 90 giorni per aver pubblicato all’inizio dell’anno video, foto e articoli che mostravano i rapporti tra il Mit, i servizi segreti turchi, e i gruppi islamisti in Siria: camion di armi stavano per essere consegnati quando un intervento della magistratura li perquisì. I due, accusati di spionaggio e sostegno a organizzazione terroristica, sono finiti dentro mentre il procuratore chiedeva per loro più di un ergastolo. A maggio sono stati condannati a 5 anni, ma in attesa dell’appello Dundar è uscito dal paese.
Ieri un altro processo si è aperto, questa volta per legami con Gulen. Rischiano fino a tre anni per aver “volontariamente” fornito sostegno al movimento dell’imam attraverso lo stesso reportage, il contrabbando di Stato di armi agli islamisti. Una schizofrenia giudiziaria e politica che dà la misura della Turchia di oggi, al tempo dell’Akp: un paese in cui diritti civili, politici e sociali sono costantemente degradati e la paura inculcata alla popolazione è divenuto il migliore strumento di controllo e oppressione. Nena News