Un decreto presidenziale amplia la giurisdizione dei tribunali militari. Molti più civili rischiano di essere processati da giudici in uniforme. Per le organizzazioni per la tutela dei diritti umani è un’altra arma per reprimere il dissenso ed eliminare l’opposizione politica
della redazione
Roma, 17 novembre 2014, Nena News – Passa anche attraverso l’ampliamento della giurisdizione dei tribunali militari la stretta repressiva dell’Egitto del presidente Abdel Fattah al-Sisi contro il dissenso.
Dalla fine di ottobre un decreto presidenziale (n.136/2014) pone sotto la giurisdizione militare gran parte delle strutture pubbliche del Paese -le università, ad esempio-, con l’obiettivo ufficiale di rafforzare gli strumenti di contrasto al terrorismo. Inoltre, stabilisce che le Forze armate diano assistenza alla polizia nella protezione delle “strutture pubbliche e di rilevanza vitale”. In questa dicitura sono incluse le università, le centrali elettriche, i ponti, le ferrovie e tutte le proprietà dello Stato.
Le organizzazioni egiziane e internazionali per la tutela dei diritti umani hanno denunciato il pericolo rappresentato da quest’ultima iniziativa legislativa, in un contesto in cui l’opposizione è spesso equiparata al terrorismo. È un modo per semplificare la persecuzione degli oppositori politici e degli attivisti, dicono, che aumenterà il numero dei processi a carico di civili celebrati nelle corti militari, notoriamente poco trasparenti e poco rispettose dei diritti umani. I diritti degli imputati ad avere un giusto processo sono a rischio, ha detto Human Rights Watch (HRW).
“È un altro chiodo nella bara della giustizia egiziana”, ha spiegato Sarah Leah Whitson, direttore di HRW per il Medio Oriente e l’Africa, “è un provvedimento assurdo che significa che molti più civili che partecipano alle proteste adesso potranno finire davanti a giudici in uniforme soggetti agli ordini dei propri superiori”. E al vertice della catena di comando c’è il ministero delle Difesa, non gli organismi autonomi della Giustizia.
La macchina della giustizia militare è già stata messa in moto da questo nuovo decreto che prevede che i procuratori dei tribunali civili passino ai loro omologhi in uniforme i casi collegati alle strutture pubbliche. Così di recente il caso di cinque studenti dell’ateneo al Azhar, al Cairo, è passato a un tribunale militare. I ragazzi sono stati arrestati per le proteste contro al Sisi e sono accusati di essere membri di un’organizzazione terroristica.
Non è una novità in Egitto, dove per decenni togati in uniforme hanno presieduto processi a carico di civili. Lo stato di emergenza in vigore per 31 anni, e ritirato nel 2012, consentiva al presidente di deferire un caso alla giustizia militare. Una pratica contro cui si sono battuti gli attivisti, che adesso invece viene istituzionalizzata ed estesa ai casi in cui non sono direttamente coinvolte le Forze armate e le loro proprietà, ampliando in maniera rilevante la loro autorità legale. HRW ha fatto notare che nei mesi successivi alla rivolta del 2011 sono stati almeno 12mila i civili che hanno subito processi in corti militari per reati di competenza dei tribunali civili. Militari con la toga hanno sentenziato condanno a morte e all’ergastolo e sono stati numerosi i casi di tortura nelle carceri militari.
Il direttore dell’Organizzazione egiziana per i Diritti umani ha sollevato anche la questione di incostituzionalità. L’articolo 204 della Carta, infatti, dice che un civile non può essere processato in una corte militare eccetto che per reati contro le strutture militari o ufficiali nello svolgimento delle proprie funzioni.
Il decreto, però, è nato sull’onda della campagna per la sicurezza del presidente al Sisi, all’indomani dell’attacco di fine ottobre in Sinai in cui hanno perso la vita decine di soldati egiziani. L’emergenza terrorismo è stata presentata come la ragione principale per provvedimenti di questo tipo e non tutta la società egiziana ha visto nel decreto una minaccia alla libertà di espressione. Partecipare a una manifestazione all’università potrebbe essere un motivo sufficiente per finire in un tribunale militare, in un Paese in cui la stessa libertà di manifestare è stata ampiamente limitata dopo il golpe del 3 luglio 2013, che ha portato al potere al Sisi. Il britannico Guardian ha fatto notare che un gruppo di editori di testate private e pubbliche ha sostenuto la politica anti-terrorismo del governo con un comunicato in cui ha garantito fedeltà alle istituzioni statali e militari. Nena News