Nuovo attacco houthi ieri verso l’Arabia Saudita. L’altro ieri erano stati intercettati due droni dal sistema difensivo di Riyad. Tre giorni fa la coalizione aveva ucciso almeno 10 ribelli sciiti nella provincia di Saada, nel nord del Paese. L’Unicef, intanto, lancia l’allarme: “una madre e sei neonati muoiono nel Paese ogni due ore”
AGGIORNAMENTO 12/6
ore 12:00 Missile houthi colpisce aeroporto di Abha: 26 feriti
Continuano a piovere missili houthi in territorio saudita. Secondo quanto ha riferito la tv al-Masirah, i ribelli sciiti yemeniti hanno colpito oggi l’aeroporto di Abha, a circa 200 chilometri a nord del confine con lo Yemen. Lo scalo è per lo più destinato a voli interni e regionali. La tv saudita al-Arabiya ha detto che uno dei missili ha raggiunto la sala degli arrivi dell’aeroporto.
La coalizione saudita anti-houthi parla di 26 persone ferite (tra queste ci sono 3 donne e due bambini). Riyad ha subito promesso una “risposta ferma” a quanto accaduto oggi. “Colpire lo scalo di Abha mostra che gli houthi hanno ricevuto armi avanzate da parte dell’Iran” si legge in una nota della coalizione. Nel comunicato si afferma anche che il raid potrebbe essere considerato un crimine di guerra.
Ieri un portavoce degli houthi avevo detto che il suo gruppo ribelle avrebbe preso di mira qualunque aeroporto dell’Arabia saudita e che i prossimi giorni avrebbero rivelato delle “grandi sorprese”.
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della redazione
Roma, 11 giugno 2019, Nena News – Continua ad essere alta la tensione al confine tra l’Arabia Saudita e lo Yemen dove ieri si è registrato un nuovo attacco houthi. Secondo una nota pubblicata stamane dall’agenzia di stato saudita Spa, il raid dei ribelli sciiti ha preso di mira la città meridionale di Khamis Mushait ma non ha causato né danni né vittime. L’attacco è stato confermato nella notte di ieri anche dagli houthi che sulla loro emittente al-Masirah hanno sostenuto di aver colpito la base aerea di Re Khalid presente in città.
Quanto accaduto conferma il trend ad alta tensione degli ultimi mesi: nonostante siano bombardati incessantemente da più di 4 anni, i ribelli sciiti continuano a minacciare il territorio saudita. Raid più spesso simbolici che effettivamente pericolosi: anche lo scorso mese, ad esempio, l’aviazione saudita era riuscita a intercettare un drone che avrebbe dovuto colpire l’aeroporto civile di Jizan (sempre vicino al confine tra i due paesi). Senza poi dimenticare che a maggio due stazioni di pompaggio di petrolio sono state colpite da droni houthi causando all’Arabia Saudita brevi interruzioni di rifornimento dell’“olio nero”.
Contemporaneamente continuano i raid mortali della coalizione nelle aree controllate dagli houthi. Domenica l’ultimo attacco: forze aeree saudite hanno colpito la regione di Saada (nel nord) uccidendo almeno 10 ribelli (diversi i feriti). Così come si sono intensificati i bombardamenti anti-houthi anche nella provincia di Hajjah, nord ovest dello Yemen.
Gli attacchi verso l’Arabia Saudita, intercettati o meno che siano, hanno un significato politico importante: sono l’emblema del fallimento della campagna militare anti-houthi lanciata nel marzo del 2015 dalla coalizione saudita in sostegno del presidente yemenita Abd Rabbu Mansour Hadi. In più di 4 anni di guerra e dopo oltre decine di migliaia di vittime (molte delle quali civili), infatti, i sauditi e i loro alleati si ritrovano in mano con un pugno di mosche: il nord e diverse aree centrali del Paese continuano a restare saldamente sotto il controllo degli houthi.
Ma i problemi per la coalizione non finiscono qui. Agli insuccessi militari si affiancano quelli politici: il governo yemenita alleato, che fa capo al deposto presidente Hadi e che ha sede nella città meridionale di Aden, appare debole. Evidente quanto accaduto ieri quando il ministro degli esteri Khaled al-Yamami ha rassegnato a sorpresa le sue dimissioni. Non è chiaro al momento quale sia stato il motivo che lo abbia spinto a compiere questo passo. Tuttavia, da tempo l’esecutivo di Aden protesta contro il fallimento dei negoziati di pace sponsorizzati dalle Nazioni Unite. Recentemente al-Yamami si era fatto portavoce del malcontento governativo quando aveva criticato duramente l’Onu per non essere riuscito a imporre agli houthi il rispetto della tregua raggiunta in Svezia lo scorso anno.
E mentre l’impasse politica continua non lasciando presagire nulla di buono nell’immediato futuro, la crisi umanitaria resta devastante: alle migliaia di civili morte durante le violenze della guerra e alle più di 2.000 vittime per il colera, bisogna sempre tenere presente che 24 milioni di yemeniti (due terzi della popolazione) necessitano di aiuti.
A pagare un prezzo altissimo sono soprattutto donne e bambini. A denunciarlo è un rapporto pubblicato ieri dall’Agenzia dell’Onu per l’Infanzia (Unicef) secondo cui “ogni due ore, una madre e sei neonati muoiono in Yemen a seguito delle complicazioni della gravidanza o della nascita”. “Gli anni di guerra hanno causato un peggioramento delle condizioni delle donne incinte in uno dei paesi che era già prima dell’escalation dei combattimenti di inizio 2015 tra i più poveri al mondo” si legge nel documento.
“Madri e bambini – afferma lo studio – sono le categorie più vulnerabili in Yemen soprattutto perché i servizi pubblici basilari, tra cui le cure mediche, sono sull’orlo del collasso totale”. Secondo il report dell’Unicef, solo il 51% delle strutture sanitarie sta operando a pieno regime e pertanto si registrano mancanze di medicine, di personale sanitario e di attrezzature mediche. Maggiore povertà in Yemen vuol dire anche maggiori pericoli per le donne, spiega l’Agenzia Onu, perché “il tasso delle nascite che hanno luogo in casa sta aumentando a causa del fatto che le famiglie si impoveriscono ogni giorno sempre di più”. Nena News