Continuano gli attacchi del Partito dei lavoratori del Kurdistan contro militari e rappresentanti del partito di Erdogan. Lacrimogeni e pallottole ieri nella capitale al corteo in ricordo del devastante attentato terroristico compiuto dal “califfato” un anno fa. Turchia e Russia normalizzano i rapporti. Giovedì è il turno d’Israele
di Roberto Prinzi
Roma, 11 ottobre 2016, Nena News - L’Hpg, il braccio armato del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), ha rivendicato ieri l’uccisione di un responsabile del partito di governo dell’Akp nel distretto di Van (sud est della Turchia). In un comunicato riportato dall’agenzia di stampa Firat, l’Hpg afferma che “nella notte del 9 ottobre, un’unità di guerriglieri ha punito Aydin Musti perché ha commesso ripetutamente crimini contro i valori della nostra lotta”.
Domenica è stata una giornata di sangue per la Turchia: nella parte orientale del Paese, infatti, un’autobomba ha ucciso 18 persone (tra cui otto civili). “L’attacco è stato compiuto da un attentatore suicida che ha fatto saltare in aria un furgoncino con cinque tonnellate di esplosivo” ha spiegato alla stampa il primo ministro Yilidirim. Nell’esplosione sono rimasti feriti anche 10 soldati e 16 civili. Ankara ha subito puntato il dito contro il Pkk che, sostiene l’Agenzia Dogan, sarebbe dietro anche gli attacchi a un posto di sicurezza nel distretto di Semdinli.
Gli ultimi episodi di violenza non fanno altro che esacerbare le tensioni già altissime che si vivono nel Paese da quando è riesploso il conflitto armato tra autorità turche e Pkk nel luglio del 2015 dopo due anni e mezzo di cessate-il-fuoco (non sempre rispettato). Secondo alcuni dati forniti dall’agenzia filogovernativa Anadolu, in questi quasi quindici mesi di guerra sono stati uccisi più di 600 uomini delle forze di sicurezza turche e oltre 7.000 combattenti del Pkk. Gli attacchi dell’esercito sono di fatto giornalieri dallo scorso luglio da quando Ankara ha deciso di intraprendere una vasta (e sanguinosa) campagna militare contro i curdi nel sud est del Paese nel tentativo di inferire un colpo decisivo alla formazione di sinistra.
Ma la durissima repressione contro i curdi decisa dal presidente Erdogan non sta assicurando alla Turchia la così tanto agognata sicurezza. Nonostante le uccisioni di civili e combattenti nelle aree a maggioranza curda procedano ancora oggi, gli attacchi dei combattenti del Pkk continuano e, con essi, sale il numero delle vittime tra le forze armate del “sultano”. Ai 10 militari uccisi domenica, si è aggiunto un altro nome ieri. Senza dimenticare che il bilancio è provvisorio perché le imboscate e gli attentati dei combattenti curdi sono quotidiani: due sospetti attentatori (per l’esecutivo turco affiliati al Pkk) si sono fatti esplodere sabato mattina quando la polizia ha ordinato loro di arrendersi.
La mancata volontà del governo turco di riconciliarsi con i “terroristi” – nonostante Ocalan, il loro leader, abbia fatto aperture in tal senso – è apparsa evidente ieri quando ad Ankara centinaia di manifestanti di sinistra pro-curdi sono stati dispersi dalla polizia con cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Il loro “reato” era quello di aver voluto commemorare i morti dell’attentato terroristico più sanguinoso della Turchia moderna avvenuto un anno fa nella capitale. Il 10 ottobre 2015 103 persone sono state uccise (105 i feriti) quando due attentatori suicidi affiliati (sembrerebbe) allo “Stato Islamico” si sono fatti saltare in area nei pressi della principale stazione ferroviaria della città durante una manifestazione indetta dai sindacati e dalle forze di sinistra.
Mentre a 150 manifestanti che intonavano slogan contro lo “stato assassino” e invitavano all’unità “contro il fascismo” veniva negato ieri l’accesso al luogo in cui era avvenuto l’attentato l’anno precedente, altre centinaia di persone di diverse associazioni venivano bloccate da un gruppo di 20 poliziotti in tenuta anti-sommossa. Tra gli attivisti presenti in piazza un gruppo portava le fotografie e i nomi di coloro che sono stati uccisi dal duplice attacco bomba.
Al lancio di lacrimogeni e dei cannoni ad acqua, alcuni manifestanti avrebbero risposto gettando bottiglie e pietre. Presenti al presidio di ieri – che ha ricordato i morti con un minuto di silenzio nel preciso istante in cui è avvenuto l’attacco (le 10:04) – anche i due leader del partito di opposizione Hdp (partito democratico dei popoli) Figen Yuksekdag e Selahattin Dermitas e alcuni esponenti del Partito popolare repubblicano (CHP).
C’era molta rabbia e frustrazione ieri in piazza soprattutto per la lentezza delle indagini e il sospetto (sempre più reale) che nessuno pagherà per quanto accaduto. Haldun Aciksozlu, uno dei manifestanti presenti ieri al corteo, ha perso un amico nell’attentato di Ankara. Intervistato dall’Afp, Aciksozlu ha accusato il governo perché “perfino quando perdiamo le [nostre] persone, lo stato non ci lascia insieme. Eppure vogliamo solo leggere delle poesie”. Per un altro attivista di nome Oncur, “finora non c’è stata alcuna giustizia”. Una posizione condivisibile se si pensa che se è vero che a giugno i procuratori turchi hanno incriminato 36 sospetti terroristi per il duplice attacco terroristico, è pur vero che al momento le indagini sono ferme e che nessun processo è cominciato.
Dal punto di vista politico, intanto, ieri i ministri dell’energia turco e russo hanno raggiunto un’intesa per il progetto “Turkish Stream” che porterà gas dalla Russia alla Turchia e da qui agli stati dell’Unione Europea (Ue). Un piano che il presidente russo aveva suggerito ad Ankara già nel 2014 quando l’idea di un gasdotto che sarebbe dovuto passare per la Bulgaria incontrò l’opposizione dell’Ue. L’accordo, siglato ieri ai margini del Congresso dell’Energia mondiale, era stato sospeso alcuni mesi fa in seguito alle tensioni tra i due Paesi causate dall’abbattimento di Ankara di un jet militare russo sul confine turco-siriano. Ma le differenze, che pur restano a proposito della Siria, si sono di fatto attenuate per meri fini economici e strategie geopolitiche. “Sono convinto che il processo di normalizzazione delle nostre relazioni continuerà rapidamente – ha detto Erdogan – i nostri rapporti miglioreranno in molti campi: difesa, industria, politica, economia, commercio, turismo e cultura”. Un disgelo tra i due Paesi confermato da un dato: negli ultimi tre mesi Erdogan e Putin si sono incontrati tre volte.
Ma non sono solo i rapporti turchi-russi a normalizzarsi, ma anche quelli tra i turchi e gli israeliani. Giovedì, infatti, atterrerà in Turchia il ministro dell’energia israeliano Yuval Steinitz. Sarà il primo incontro ufficiale interministeriale tra Ankara e Tel Aviv dopo 6 anni di gelo diplomatico in seguito all’assalto della nave Mavi Marmara da parte di un comando israeliano. In quell’occasione 9 attivisti pro-palestinesi turchi furono uccisi dai militari dello stato ebraico. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir