Si attende l’approvazione alla Knesset della Regulation Bill, la “sanatoria” per migliaia di case costruite negli avamposti coloniali illegali per la stessa legge israeliana. Nena News pubblica sull’argomento di nuovo il rapporto diffuso da Peace Now lo scorso novembre: 55 insediamenti illegali graziati e oltre 800 ettari di terre palestinesi confiscati
della redazione
Roma, 2 febbraio 2017, Nena News – Cinquantacinque insediamenti e 3.921 unità abitative illegali anche per la legge israeliana saranno graziati e oltre 800 ettari di terre palestinesi confiscate: è il calcolo fatto da Peace Now, organizzazione israeliana per i diritti umani, nel caso passi la controversa legge retroattiva di legalizzazione degli outpost.
La Knesset sta per approvare la Regulation Bill, la legge che, spiega l’organizzazione, permetterà “un enorme furto di terre”. Una normativa che segue ad una scia lunga 70 anni di confisca di terre e trasferimento della popolazione, a cui si aggiungerà il marchio di fabbrica del governo di ultradestra del premier Netanyahu, sordo a qualsiasi forma di protesta internazionale.
Secondo Peace Now, nello specifico, saranno legalizzati 55 outpost costruiti illegalmente su 3.076 dunam di terre palestinesi e 3.125 unità abitative dentro colonie che invece il governo israeliano ha riconosciuto, portando alla perdita definitiva di altri 5.014 dunam. Ma la confisca non si fermerà qui: l’approvazione della legge aprirà la strada ad altre espropriazioni di terre, con il movimento dei coloni ufficialmente autorizzato ad agire autonomamente.
“La legalizzazione degli outpost – scrive Peace Now – non è solo un atto di approvazione retroattivo di fatti sul terreno, ma fa anche da luce verde per future costruzioni illegali, nell’idea che il governo le legalizzerà retroattivamente. Inoltre, una volta che un outpost sarà ‘legalizzato’, è probabile che venga espanso attraverso nuovi piani fino a trasformarlo in una colonia vera e propria”.
Una realtà che è concreta da decenni: dalla nascita della prima colonia israeliana nei Territori Occupati, Kiryat Arba a Hebron, costruita nel 1968 (esattamente un anno dopo la guerra dei Sei Giorni e l’inizio dell’occupazione militare), i coloni hanno sempre lavorato in stretta collaborazione con i diversi governi israeliani al potere. Una macchina perfettamente funzionante che vede coinvolti esercito, legislazione politica e coloni, attori di un’identica politica che ha provocato la confisca e la fattiva annessione del 18% della Cisgiordania.
A ciò si aggiunge la geografia degli outpost che saranno legalizzati: molti di quelli interessati dalla legge si trovano lontani dalla Linea Verde, confine internazionalmente riconosciuto tra Israele e Territori Occupati. Se i blocchi di insediamenti lungo la frontiera sono ormai nella pratica annessi allo Stato di Israele, l’aumento di quelli nella profonda Cisgiordania serve una volta di più il piano di frammentazione del territorio palestinese, impedendo di fatto la nascita di un futuro Stato palestinese, spezzettato in enclavi distanti e discontinue. Nena News