VIDEO. Dopo il pestaggio di un 14enne del campo profughi di Al ‘Azze, ieri sera la polizia palestinese ha sparato per disperdere una manifestazione di protesta.
di Chiara Cruciati
Betlemme, 21 settembre 2015, Nena News – La crisi dell’Autorità Nazionale Palestinese è esplosa, palese, nel fine settimana. Da venerdì a ieri sera due manifestazioni improvvisate hanno smascherato la debolezza del governo di Ramallah, la sua lontananza – ormai abissale – dalla gente e il crollo del consenso, difficilmente recuperabile.
Non è la prima volta che i poliziotti palestinesi vengono mandati a fermare manifestazioni contro Israele, il muro o le colonie. Non è la prima volta che i palestinesi lamentano che a fare il lavoro sporco dell’occupazione vengono inviate le forze di sicurezza palestinesi. Che dovrebbero tutelare il proprio popolo e non proteggere l’esercito israeliano. Ma questo prevede il coordinamento alla sicurezza, fardello che dagli Accordi di Oslo pesa su Ramallah e su tutta la Cisgiordania.
Non è la prima volta. Ma mai si era arrivati a tanto: mai si erano viste immagini di pestaggi di 14enni da parte di poliziotti palestinesi o gli stessi aprire il fuoco per dispedere una manifestazione di protesta. Come ci spiegava pochi giorni fa Fareed al-Atrash, direttore dell’Ichr (Independent Commission for Human Rights, ente palestinese che monitora le violazioni palestinesi e israeliane nei Territori), “le violazioni contro i diritti umani da parte dell’Anp sono numerose e pesanti: si va dagli arresti senza prove alle torture durante gli interrogatori, dalla censura della stampa alle detenzioni per aver criticato il governo o perché si fa parte di fazioni politiche avversarie. E così via”.
Insomma, non certo una novità, ma una realtà strutturata che si sovrappone a quella ancora più violenta e pervasiva dell’occupazione israeliana. Ma la rabbia è esplosa, forte, quando venerdì in internet ha iniziato a circolare il video di un 14enne, Ramiz al-Azza, del campo profughi di Al-Azze pestato con i manganelli e i calci dalle forze anti-sommossa palestinesi. Cosa faceva? Partecipava ad una manifestazione contro le violazioni israeliane nella moschea di Al Aqsa (vedi il video sotto).
Testimoni hanno raccontato a Nena News che la violenza non si è fermata al ragazzino: una donna è stata picchiata mentre cercava di difenderne un altro dalle botte e oggi è ancora in ospedale. Picchiati anche altri due giovani, Mahmoud Hamamra di 16 anni e suo fratello Ahmad Hamamra, di 18.
E seppure Ramallah si sia messa subito in moto per difendere la propria credibilità, annunciando l’allontamento dal servizio dei nove agenti coinvolti nel pestaggio (5 sono stati mandati in pensione anticipata, altri 4 condannati a 3 mesi di carcere e un anno senza promozione), la rabbia non si è placata. Perché, al di là delle misure punitive verso i diretti responsabili, a monte resta – secondo i palestinesi – la responsabilità indiretta: è il governo ad aver mandato i poliziotti anti-sommossa a fermare la manifestazione, è il governo a tutelare Israele sopprimendo le normali proteste palestinesi.
Una rabbia che ieri sera si è tradotta in una manifestazione improvvisata contro la sede dell’Anp a Betlemme: un gruppo di 300 palestinesi ha marciato dal vicino campo profughi di Dheisheh verso la Muqata, il palazzo del governo in città, portando con sé cartelli contro l’Anp e cantando slogan contro il presidente Abbas. Poco dopo, di fronte all’edificio, è partita una sassaiola contro le finestre. A cui la polizia ha risposto con il fuoco: una serie di colpi sono stati sparati verso i manifestanti per disperderli (come si vede nel video sotto).
All’utilizzo del fuoco (finora una prerogativa israeliana) si è aggiunta la censura nei confronti dei giornalisti presenti: a due reporter di Middle East Eye sono state confiscate le telecamere, un altro è stato detenuto per poco tempo e il materiale confiscato.
La serie di eventi di questi ultimi giorni parla chiaro: la gente non rispetta l’Anp, il consenso è bassissimo. Lo si sente per la strada, nei commenti dei giovani e dei meno giovani. Il governo di Ramallah riesce a restare in piedi solo grazie alla politica delle assunzioni, legando a sé intere famiglie distribuendo posti di lavoro: “Se per il funzionamento dei servizi pubblici basterebbero 50mila dipendenti pubblici – ci spiegava tempo fa l’economista palestinese Basel Natsheh – nel 1996 ne erano stati assunti 80mila e nel 2013 avevano toccato quota 153mila. Un modo per assorbire i disoccupati”. E per legare a sé, 153mila famiglie. Nena News