Continuano le schermaglie tra lo stato ebraico e un gruppo affiliato all’autoproclamato califfato. A nord, intanto, le truppe siriane controllano ormai il 30% della zona orientale della seconda città siriana. Oltre 10.000 civili in fuga dalle aree ribelli
della redazione
Roma, 28 novembre 2016, Nena News – Continuano le schermaglie tra Israele e i gruppi jihadisti al confine tra Siria e lo stato ebraico. Secondo quanto riferisce il portavoce dell’esercito israeliano, ieri notte gli aerei da guerra di Tel Aviv hanno colpito sulle Alture del Golan una struttura controllata da un gruppo affiliato all’autoproclamato Stato Islamico, i miliziani di Shuhada al-Yarmouk. Fonti militari hanno fatto sapere che l’attacco è una risposta ai colpi di arma da fuoco sparati ieri mattina da alcuni jihadisti verso le truppe israeliane.
La struttura colpita stanotte era un tempo presidiata dalle Forze di disimpegno degli osservatori delle Nazioni Unite (Undof) ed in passato serviva per proteggere il cessate il fuoco tra lo stato ebraico e la Siria. Tuttavia, fa sapere l’esercito israeliano, il compound era diventato recentemente una base utilizzata dal ramo locale dell’Isis (le Shuhada al-Yarmouk) per compiere attacchi. Fonti militari hanno perciò detto che i raid di stanotte sono serviti a “prevenire il ritorno dei terroristi ad una struttura che costituisce una minaccia fondamentale alla regione”.
Una minaccia jihadista che, dopo oltre cinque anni e mezzo dall’inizio della guerra civile siriana, aveva bussato ieri alle porte d’Israele per la prima volta. Agli spari dei miliziani islamici verso il Golan “israeliano” (il territorio, occupato nel 1967, nel 1981 è stato annesso da Tel Aviv illegalmente secondo le Nazioni Unite), lo stato ebraico rispondeva prontamente colpendo un pick-up armato. Bilancio: 4 membri delle Shuhada al-Yarmouk uccisi sul colpo. Nessun ferito, invece, si è registrato tra i militari.
Sui fatti accaduti ieri mattina al confine con la Siria era intervenuto anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu. In apertura della riunione settimanale del suo esecutivo, il primo ministro aveva ostentato sicurezza: “non permetteremo che l’Isis si stabilisca ai nostri confini a causa della guerra in corso in Siria”. Secondo un esponente dell’opposizione siriana citato dal quotidiano israeliano Ha’Aretz, l’attacco jihadista di ieri aveva come obiettivo quello di trascinare nel conflitto siriano anche Israele. Un coinvolgimento, però, che va avanti già da anni seppure a basso profilo: Tel Aviv ha più volte bombardato lo stato arabo confinante colpendo vere o presunte consegne di armi verso il gruppo libanese Hezbollah. Non solo: lo stato ebraico ha anche curato sul suo territorio centinaia di combattenti siriani (molti dei quali estremisti) in strutture sanitarie nel nord del Paese scatenando, in più di una circostanza, la dura protesta della comunità drusa che teme che le forze jihadiste presenti nel sud della Siria (Isis, ma anche al-Qa’eda con l’ex Fronte an-Nusra) possano compiere lì una mattanza dei loro “fratelli” drusi.
E se il fronte meridionale è caldo, incandescente è quello settentrionale. Ieri le forze governative hanno annunciato di aver riconquistato il quartiere di Sakhur di Aleppo strappando buona parte dell’area nord della città al controllo dei “ribelli”. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong di stanza a Londra e vicina all’opposizione, il governo siriano ha ripreso il possesso negli ultimi giorni di 10 quartieri della città e controlla ormai il 30% dell’area precedentemente in mano a formazioni armate più o meno radicali. L’avanzata di ieri ha fatto seguito a quella simbolica di sabato nel distretto di Hanano: un risultato importante se si pensa che dal 2012 le truppe governative non si spingevano così ad est in città. La furiosa battaglia in corso nell’area orientale di Aleppo continua ad avere effetti devastanti sulla popolazione locale: tra sabato e domenica, afferma l’Osservatorio siriano, circa 10.000 civili sono stati costretti ad abbandonare le aree orientali della città dirigendosi verso le zone governative e curde.
La giornata di ieri, inoltre, registra anche la smentita del Cairo circa un presunto coinvolgimento in Siria dell’esercito egiziano a fianco del governo. In una nota, il ministero degli esteri ha fatto sapere che l’Egitto non interviene negli affari interni di altri Paesi e che l’eventuale dispiegamento di personale militare avrebbe richiesto provvedimenti pubblici. La presunta presenza di un contingente bellico egiziano in Siria era stata sostenuta da un rapporto del quotidiano libanese as-Safir secondo cui una unità militare formata da 18 piloti si era unita a inizio mese alla base area di Hama. Una notizia che sembrava trovare conferma anche nel recente endorsement offerto dal presidente egiziano Abdel Fattah as-Sisi a quello siriano Bashar al-Asad . Nena News