Il Cairo nega di applicare le sanzioni Usa ma il greggio iraniano non raggiunge più la Siria via mare. Il governo di Imad Khamis taglia la quota della benzina a costo calmierato, il resto è venduto a prezzo di mercato insopportabile per le famiglie siriane. Lunghe code davanti ai benzinai
Michele Giorgio – Il Manifesto
Roma, 18 aprile 2019, Nena News – «È una coda lunga almeno un chilometro, c’è un benzinaio in fondo alla strada e le auto che sono in fila per fare rifornimento paralizzano il traffico. Così è anche in altri punti di Damasco». Rimasto imbottigliato in un ingorgo su via Baghdad in direzione di piazza Tahrir, un nostro conoscente siriano impiegato nella realizzazione di progetti umanitari, ci raccontava ieri mattina i riflessi più diretti in Siria del razionamento e dell’aumento del prezzo del carburante deciso dal governo a causa delle sanzioni varate dall’Amministrazione Trump contro Tehran e Damasco.
Il provvedimento ha generato malumori e innescato qualche isolata protesta nella capitale e in altri centri. La popolazione non può permettersi di pagare la benzina a prezzo di mercato. In Siria il costo della benzina è calmierato e lo Stato tradizionalmente garantisce sussidi per tenere basso il prezzo del carburante. Ma benzina e gasolio ora scarseggiano e il governo, con le casse vuote dopo otto anni di guerra, pur garantendo ancora ai cittadini siriani una quota di 100 litri di carburante al mese a prezzo sussidiato (prima erano 200), non ha potuto far altro che autorizzare la vendita di benzina a prezzi di mercato.
«I normali automobilisti – ci ha spiegato il nostro conoscente – possono comprare solo 20 litri di benzina ogni cinque giorni e le abituali attività quotidiane di tante famiglie ne hanno subito risentito. I tassisti possono rifornirsi di 20 litri ogni due giorni e i motociclisti di tre litri ogni cinque giorni». Sui social alcuni siriani raccontano di aver trascorso la notte in macchina pur di assicurarsi la benzina a prezzo calmierato.
Il ministero del petrolio promette di approntare stazioni di rifornimento mobili e di attivare misure per controllare la quantità del carburante erogato ed impedire abusi e vendite al mercato nero. Assicura che farà il possibile per rendere di nuovo operativi i giacimenti di petrolio e di costruire nuovi depositi nelle aree liberate da jihadisti e islamisti radicali che per anni hanno combattuto contro il governo e il presidente Bashar Assad. Una promessa irrealistica visto che la maggior parte dei giacimenti di petrolio e gas del paese sono sotto il controllo delle “Forze democratiche siriane” (combattenti curdi e arabi) sostenute dagli americani nella Siria nordorientale. Sono in corso trattative tra Damasco e i curdi siriani e qualche giorno fa centinaia di autocisterne hanno raggiunto il Rojava e sono tornate a pieno carico.
Ma si tratta di un palliativo e una soluzione ampia della crisi non è a portata di mano. La Siria consuma 100mila barili di petrolio al giorno e ne produce 24mila. Fino allo scorso anno il paese, colpito dalle sanzioni e dal boicottaggio attuato dai leader arabi nemici di Assad, si riforniva grazie a petroliere iraniane che partendo dal Golfo e percorrendo il canale di Suez consegnavano nei porti siriani sul Mediterraneo 2-3 milioni di barili di greggio al mese. Poi a novembre 2018 il Tesoro degli Stati Uniti ha minacciato di sanzioni tutti coloro che continuano ad avere rapporti economici e commerciali con l’Iran e a trasportare il petrolio destinato alla Siria.
Il primo ministro Imad Khamis qualche giorno fa ha chiamato indirettamente in causa l’Egitto denunciando che alle petroliere con il carburante iraniano verrebbe impedito di raggiungere i porti siriani perché non autorizzate ad entrare nel Mediterraneo attraverso Suez. Il Cairo non conferma ma il quotidiano libanese Al-Akhbar sostiene che la Siria non sarebbe ancora riuscita a convincere il presidente egiziano Abdel Fattah el Sisi a non tenere conto delle minacce degli Stati uniti.
Altre fonti affermano che el Sisi avendo escluso (per ora) l’ingresso dell’Egitto nella nascente “Nato araba” sponsorizzata da Washington e Riyadh, allo scopo di compiacere Donald Trump avrebbe garantito il rispetto del suo paese delle sanzioni Usa contro Tehran e Damasco. Altri ancora ipotizzano che la penuria di carburante sia dovuta alle fatture non pagate all’Iran che avrebbe interrotto la spedizione del petrolio. Tesi smentita da Iran e Siria, secondo la stampa araba.
L’unica alternativa al momento al blocco di Suez è il trasporto via terra del petrolio. Tehran ha già inviato in Siria attraverso l’Iraq 1200 autocisterne che diventeranno 1500 alla settimana nel prossimo periodo. Ma non è detto che questa soluzione sia duratura. Washington è pronta a fare pressioni sul governo di Baghdad che non ha mai escluso del tutto la possibilità di rispettare, almeno in parte, le sanzioni Usa contro l’alleato Iran.
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