Non ci sono aggiornamenti sugli estremisti israeliani che nella notte tra il 30 e 31 luglio diedero fuoco alla casa della famiglia palestinese Dawabsha uccidendo il piccolo Ali, 18 mesi, e, nelle settimane successive, il padre e la madre rimasti ustionati su tutto il corpo.
della redazione
Gerusalemme, 1 ottobre 2015, Nena News – Il governo Netanyahu nelle ultime due settimane è stato particolarmente attivo nell’adottare severe misure punitive nei confronti dei palestinesi che lanciano sassi contro le auto e le forze armate israeliane – tra queste la pena minima di quattro anni di carcere – e, ogni notte, l’Esercito conduce in Cisgiordania raid nei centri abitati palestinesi alla caccia di “terroristi”. Tanta efficienza e rapidità di governo e apparati di sicurezza israeliani invece non è ancora riuscita a catturare gli estremisti ebrei che esattamente due mesi fa diedero fuoco alla casa della famiglia palestinese Dawabsha, nel villaggio cisgiordano di Kfar Douma. Quel rogo carbonizzò il piccolo Ali, 18 mesi, e nelle settimane successive ha ucciso anche il padre, Saad, e la madre, Riham. In ospedale, da allora, resta l’unico sopravvissuto, il primo figlio, Ahmad, di 4 anni. I medici sperano di salvarlo. In ogni caso la sua vita sarà segnata dalle conseguenze di ustioni gravissime sul 60% del corpo.
La notte tra il 30 e il 31 luglio, il mondo apprese della violenza degli estremisti di destra e dei coloni israeliani in Cisgiordania che i palestinesi denunciano invano da anni. L’Esercito e i giornali israeliani sin dal primo momento non ebbero dubbi sulla paternità dell’azione assassina. La firma lasciata sulle pareti annerite della casa non lasciava alternative: “Vendetta” e “Lunga vita al Messia”. Parole e slogan dei “redentori” della biblica terra di Israele, “Eretz Israel”, forse intenzionati a vendicare la demolizione ordinata alcuni giorni prima dalla Corte Suprema di un paio di edifici nella colonia ebraica di Bet El. Il premier israeliano Netanyahu parlò di “tolleranza zero” nei confronti degli estremisti e il capo dello stato Reuven Rivlin ammise con sconforto che Israele non ha agito con la necessaria determinazione contro il “terrorismo ebraico”.
Tuttavia in queste otto settimane il clamore suscitato dal rogo di Kfar Douma ha prodotto soltanto un ordine di “detenzione amministrativa” (carcere senza processo) per sei mesi nei confronti di tre militanti della destra e provvedimenti restrittivi nei confronti di una decina di coloni ed estremisti. Queste persone comunque non sono accusate di essere coinvolte direttamente nell’uccissione di Ali e di suo padre. L’impressione di tanti è che il servizio segreto interno Shin Bet sia frenato da forti pressioni politiche. Con un governo che li sostiene apertamente e una Knesset dove hanno decine di parlamentari amici, e qualche volta anche vicini di casa, anche i coloni più estremisti si sentono intoccabili.
Il ministro della difesa israeliano, Moshe Yaalon, il mese scorso ha affermato che le forze di sicurezza conoscono i responsabili dell’assassinio di Ali Dawabsha e dei suoi genitori. Ma, ha aggiunto, non agiscono per evitare l’identificazione della loro fonte d’informazione. Gli assassini perciò rimarranno liberi a tempo indeterminato? Nena News