Cemento israeliano cola ancora sui Territori, il numero di coloni continua a crescere. Onu, Ue, Russia e Usa lanciano appelli lontani anni luce dalla situazione sul terreno.
della redazione
Gerusalemme, 9 febbraio 2015, Nena News – Il quartetto per il Medio Oriente torna a parlare di negoziati, ma sul terreno da negoziare c’è ben poco. Le colate di cemento israeliano non si fermano e continuano nel progetto di espansione coloniale dei Territori Occupati: a meno di due settimane dal nuovo piano per la costruzione di 430 unità abitative per coloni in Cisgiordania, ieri il governo israeliano ha pubblicato una gara d’appalto per 580 camere di hotel nel quartiere palestinese di Jabal al-Mukabber a Gerusalemme Est.
Lo ha resto noto il ricercatore Ahmad Sublaban, secondo il quale la costruzione avverrà in un’area di 70 km quadrati e rientrerà nel più vasto piano di costruzione di 1.350 camere d’albergo approvato nel 2010 tra le colonie di Ma’ale Adumim e Mishor Adumim.
La notizia giunge insieme a quella pubblicata dal quotidiano israeliano Haaretz: il governo israeliano ha confiscato 3.740 dunam di terre (un dunam è pari a mille metri quadrati) in Cisgiordania per espandere quattro colonie già esistenti, tra Gerico e Gerusalemme, Kedumim, Vered Yericho, Neveh Tzuf e Emanuel. Un piano che segue alla consegna di 215mila dollari previsti dal Ministero della Casa israeliana a favore della colonia di Efrat, vicino Betlemme, e alla confisca di quasi mille dunam di terre appartenenti a cinque villaggi nei pressi del blocco di colonie di Gush Etzion, a sud di Gerusalemme.
E se il tasso di crescita della popolazione palestinese in tutto il territorio della Palestina storica è più alto di quello israeliano (ad oggi quasi la metà della popolazione totale residente in tutto il territorio è palestinese), a crescere sul lato israeliano sono i coloni: secondo dati pubblicati da Haaretz la crescita annuale dei residenti nelle colonie nei Territori Occupati è di circa il 5.5%, contro l’1.7% degli israeliani residenti nello Stato di Israele. Numeri che spiegano bene come dal 1987 ad oggi il numero dei coloni tra Gerusalemme e Cisgiordania sia triplicato. Secondo dati raccolti dall’Istituto Israeliano di Statistica, il governo israeliano e l’associazione israeliana B’Tselem, oggi i coloni residenti in Cisgiordania sono 400mila, 300mila quelli a Gerusalemme, per un totale di 700mila.
Eppure per certi ministri, come Uri Ariel di Casa Ebraica, sono ancora pochi: in una recente intervista Ariel ha fissato l’obiettivo dei prossimi cinque anni a 600mila coloni solo in Cisgiordania, 200mila in più degli attuali. E in vista delle elezioni, la caccia al voto in una società che si sta spostando costantemente a destra passa per gli insediamenti nei Territori Occupati.
In un simile contesto, parlare di negoziato sembra ancora di più una chimera. Mentre continuano le condanne da parte palestinese (l’ultima in ordine di tempo quella del capo negoziatore Saeb Erekat che ieri ha promesso di presentare una denuncia alla Corte Penale in merito all’espansione coloniale israeliana), ieri il Quartetto per il Medio Oriente – formato da Russia, Usa, Ue e Onu – si è incontrato a Monaco e ha rilasciato un comunicato comune che chiede la ripresa del dialogo tra Tel Aviv e Ramallah: “Una pace sostenibile deve garantire le aspirazioni palestinesi alla sovranità e la nazionalità e quelle alla sicurezza per gli israeliani attraverso il negoziato fondato sulla soluzione a due Stati”.
I leader mondiali, la lady Pesc Mogherini, il ministro degli Esteri russo Lavrov, il segretario di Stato Usa Kerry, amano discutere, ma le soluzioni concrete restano nel cassetto: difficile parlare di diritto palestinese alla sovranità con centinaia di migliaia di coloni che interrompono la continuità di un potenziale futuro Stato. Chiedono ad entrambe le parti di evitare di prendere misure che minano il negoziato, ma ancora una volta resta da domandarsi a quale negoziato si riferisce la comunità internazionale. Nena News