Il boicottaggio del voto, quando si terrà, come strumento di rigetto dell’attuale status quo e la mobilitazione progressista dalla base sono i mezzi per avviare la Palestina sul sentiero della democrazia e di un progetto nazionale unitario. Una possibilità già aperta da movimenti giovanili emersi in questi anni, spiega Alaa Tartir
di Alaa Tartir – Al Jazeera
(Traduzione della redazione di Nena News)
Roma, 3 maggio 2021, Nena News – Prima che il presidente palestinese Mahmoud Abbas posponesse le elezioni legislative palestinesi, alcuni osservatori hanno pensato che avremmo assistito a una competizione elettorale aggressiva che avrebbe condotto a un cambiamento politico. Altri ritenevano che le elezioni fossero l’unico modo per giungere all’unità nazionale e porre fine allo scontro interno palestinese tra Fatah e Hamas, i due movimenti politici dominanti in Palestina.
Ma uno sguardo attento a cosa stava accadendo nella contesa elettorale mostra una realtà differenze. Le elezioni erano dirette più probabilmente a mantenere una democrazia di facciata volta a garantire le profonde strutture di oppressione, tirannia e frammentazione. Questo perché le due forze politiche che dominano la scena palestinese da oltre 15 anni e che competono per il potere hanno inflitto gravi danni al movimento nazionale palestinese, svuotato il progetto di liberazione nazionale ed esacerbato la frammentazione verticale e orizzontale dentro la società palestinese.
Come risultato, nei decenni, i palestinesi sono divenuti meri osservatori dei loro problemi e della loro causa, incapaci di partecipare agli sviluppi politici nelle loro comunità. Il loro sentimento di alienazione dalla patria e di separazione dal governo è una forma di oppressione pari a quella inflitta dall’occupazione coloniale israeliana. I palestinesi hanno bisogno di un governo che li liberi, non che li renda schiavi.
Quando le elezioni saranno alla fine ri-previste, Fatah e Hamas proveranno di nuovo a monopolizzare il voto. La cosa peggiore che l’elettorato palestinese possa fare è riconoscergli ancora legittimità votando per i loro candidati. Questo rafforzerà solo le loro posizioni e il loro autoritarismo, lasciando i palestinesi nella loro propaganda per anni.
Ma questo non è il risultato inevitabile. Le elezioni, nonostante i loro risultati, possono essere u’opportunità per trasformare il sistema politico palestinese se affrontate diversamente. Le forze politiche che desiderano davvero un cambiamento dovrebbero condurre i palestinesi lontano dalla scelta disastrosa per lo status quo. Possono incoraggiare gli elettori a punire i due poteri politici dominanti e fare spazio all’emersione di una nuova leadership politica.
Sarebbe il primo passo per renderli responsabili al livello della base per aver minato la lotta palestinese. La punizione non consiste solo nel voto palestinese verso altre liste. Per dimostrare il rigetto dell’attuale status quo, possono semplicemente invalidare le schede scrivendo “Né Fatah né Hamas”, “No al patetico regime politico”, “No alla corruzione”, “No alla divisione”. Con tanti voti di sfiducia, le voci delle opposizioni possono consolidarsi in un atto di resistenza che esponga le autorità governative e i partiti e mandare un messaggio chiaro: “Basta mettere in pericolo il nostro progetto nazionale e il nostro futuro”. Sarebbe anche un modo di rigettare gli Accordi di Oslo e i regimi politici e governativi che hanno creato.
Azioni di rigetto, di confronto e collettive richiedono l’esposizione delle autorità prima delle masse come precondizione per il cambiamento. Questo processo elettorale può essere usato per individuare i fallimenti del regime governative di cui soffriamo. E’ un’opportunità per cambiare l’attitudine del popolo e le sue percezioni, che necessariamente condurrà prima o poi a cambiare le sue azioni.
Ad esempio, sia Fatah che Hamas nelle loro campagne elettorali si sono promesse come “le protettrici del progetto nazionale palestinese”, usando il loro discorso di costruzione dello Stato e la retorica della “resistenza”. Questo è il momento in cui denunciare il fallimento di entrambe le nozioni di “protettrici del progetto nazionale”, che serve solo come patetica copertura di tutti i danni che hanno inflitti ai palestinesi.
Se un significativo numero di persone deciderà di votare “no” allo status quo e invaliderà le schede come atto di inequivocabile rigetto dell’attuale regime, arriveremo a una congiuntura critica nella politica palestinese. Una nuova e legittima leadership palestinese potrebbe trarne vantaggio per realizzare riforme e iniziare a sviluppare un sistema politico palestinese inclusivo, progressivo ed emancipatorio.
C’è già del lavoro politico fatto che potrebbe aiutare all’emersione di una nuova classe politica palestinese, libera da affiliazioni politiche e dipendenze. Ad esempio, c’è la Generazione per il Rinnovo democratico, un’organizzazione giovanile fondata lo scorso febbraio che si focalizza sulla ricostruzione del sistema politico palestinese su basi democratiche. Il gruppo non può contestare le elezioni sulla base di restrizioni legali, per cui ha lanciato una lista virtuale di parlamentari giovani che portano avanti un’agenda politica progressista.
Dopo l’annuncio di Abbas di rinvio delle elezioni, il gruppo ha dichiarato che continuerà con questa iniziativa, per “mostrare come la democrazia e la partecipazione politica dovrebbero essere”. La Generazione per il Rinnovo Democratico non è la prima iniziativa di giovani focalizzata sulla democrazia. E’ stata preceduta da altre, emerse durante le primavere arabe del 2011-2012, come i Palestinesi per la Dignità.
La leadership collettiva e il modello partecipatori di questi movimenti giovanili, insieme alla loro visione per una leadership effettiva e legittima, sono i fondamentali elementi di cui manca l’attuale regime politico in Palestina. La presenza di idee così progressiste può aiutare a mobilitare l’elettorato palestinese fuori dalle tradizionali forze politiche.
E’ importante notare che una reale trasformazione democratica non può essere implementata di fretta. Il cambiamento politico in Palestina sarà lento e richiederà un piano pragmatico di azioni e sforzi incrementali per realizzarlo. Sarà costruito dalla base attraverso presa di coscienza politica e mobilitazione. Uno sforzo che richiede tempo, perseveranza, sostenibilità, resistenza e la prontezza di affrontare le reazioni, ovvero la capacità di imparare dalle esperienze giovanili del passato, in particolare per quel che riguarda il superamento di strutture autoritarie e repressive.
Soprattutto, richiederà un impegno dei palestinesi nel rigettare lo status quo politico. Un tale impegno può essere dimostrato con il non-voto alle elezioni, quando avverranno. Sarebbe un significativo passo nel percorso verso una nuova democrazia in Palestina. Nena News
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