In due puntate proponiamo la tavola rotonda del think tank palestinese al-Shabaka sui cambiamenti politici in corso intorno alla Striscia. Si parte oggi con l’analisi di Haidar Eid sulle misure prese dall’Anp e la risposta di Hamas
di Al Shabaka
Gaza, 21 luglio 2017, Nena News – Gli attori politici sia dei Territori Occupati Palestinesi che della regione si stanno riposizionando dopo la recente emersione dell’asse tra Hamas e Mohammed Dahlan, l’ex capo di Fatah a Gaza e nemico di lungo corso di Hamas, e dopo le sanzioni contro il Qatar imposte da Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrain e Egitto.
I palestinesi di Gaza aspettano con ansia di vedere come questi significativi cambiamenti politici per la Striscia avranno effetti sulla loro vita quotidiana. Temono che le condizioni peggiorino e hanno ragione. La perdita probabile del Qatar come finanziatore e alleato e la continuazione certa delle misure di punizione collettiva inflitte a Gaza dall’Autorità Palestinese indicano un peggioramento di una vita già misera.
Difficile da immaginare dopo dieci anni di brutale assedio israeliano, inframezzato da offensive che hanno lasciato dietro di sé migliaia di civili uccisi e feriti e infrastrutture devastate, ma la recente crisi elettrica ha mostrato come la situazione possa ulteriormente peggiorare: mentre scriviamo, Gaza è quasi del tutto senza elettricità.
Oltre alla sofferenza umana, questa situazione esacerba la frammentazione politica e senza dubbio indebolisce la richiesta palestinese di autodeterminazione e libertà.
Nelle due riflessioni che pubblicheremo in questi giorni, gli analisti di al-Shabaka Haidar Eid e Ayah Abubasheer, entrambi basati a Gaza, esaminano le ramificazioni politiche della crisi del Qatar sulla Striscia e in particolare sui tentativi disperati di Hamas di mantenere il potere usando il nuovo riavvicinamento a Dahlan.
Trattano anche di come la vita quotidiana sia stata colpita. La loro conclusione? Il futuro di Gaza non è mai stato tanto cupo.
di Haidar Eid
Nella Striscia di Gaza sono tutti d’accordo nel dire che l’enclave sta affrontando l’inizio di una nuova era caratterizzata da misure punitive senza precedenti imposte dall’Anp di Fatah. Un periodo cominciato a marzo quando Hamas ha formato un comitato amministrativo per governare Gaza.
Minacciata da tale mossa, l’Anp ha reagito sospendendo o riducendo i salari dei suoi impiegati nella Striscia; sospendendo la fornitura di energia, medicine e sistema sanitario; accantonando le pensioni dei prigionieri liberati; e negando ai pazienti di Gaza i trattamenti negli ospedali di Cisgiordania e Israele. All’inizio di luglio l’Anp ha costretto oltre 6mila dipendenti pubblici, molti dei quali impiegati nei settori dell’educazione e della salute, al prepensionamento.
Queste decisioni sono state prese in nome del “popolo palestinese” o del “progetto nazionale palestinese” (ma senza alcun input da parte di soggetti esterni all’Anp) giustificando le misure come un modo “per spingere Hamas verso la riconciliazione” e per affermando che “il progetto nazionale è più importante dei bisogni dei cittadini”.
In risposta, Hamas si è rivolto all’Egitto all’arci-nemico Mohammed Dahlan, ma non prima di tentare pressioni sull’amministrazione Usa per un ruolo nel “processo di pace”, attraverso l’adozione della soluzione a due stati avvenuta con la modifica dello Statuto. Il disinteresse statunitense ha permesso ad Hamas di allearsi con un regime che ha lanciato una violenta campagna contro il movimento madre, i Fratelli Musulmani.
La partnership Hamas-Egitto non dovrebbe comunque sorprendere, giungendo nel bel mezzo di un congelamento della resistenza a favore del mantenimento dell’autorità.
È impossibile comprendere tali sviluppi senza tenere in considerazione quanto avviene nel mondo arabo e in particolare nel Golfo. La recente crisi tra il Qatar e alcuni membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo ha colpito Gaza e, di conseguenza, la causa palestinese ponendola ancora più in basso nella lista delle priorità dei leader arabi e internazionali. Inoltre, il Qatar fornisce aiuti umanitari alla Palestina.
Sebbene non assuma una chiara posizione politica – e dunque non sfidi le politiche israeliane di occupazione, apartheid e colonialismo di insediamento – la potenziale perdita del Qatar come alleato pone Hamas in una posizione ancora più vulnerabile.
Questi sviluppi giungono mentre l’amministrazione Usa punta a consolidare la normalizzazione araba con Israele senza l’ottenimento dei diritti umani di base per il popolo palestinese, garantiti dal diritto internazionale.
Hamas è dunque alla mercé di Israele, Stati Uniti e Anp e sta disperatamente tentando di mantenere il potere a Gaza. Questo sta spingendo Hamas verso l’istituzione di politiche che possano aiutare nel breve termine ma che nel lungo serviranno a mantenere in piedi uno status quo punitivo che lo indebolirà ulteriormente.
Oraib Rantawi, ad esempio, sostiene che Hamas stia pensando di unirsi al nuovo fronte del Quartetto Arabo (Egitto, Giordania, Arabia Saudita e Emirati Arabi) e che Mohammed Dhalan lo scorti in questo percorso.
Considerando l’intransigenza dell’Anp e le misure che ha preso su Gaza, così come i documenti filtrati che sottolineano “l’accordo nazionale per costruire fiducia” tra Hamas e Dahlan, l’unica opzione rimasta per Hamas è aprire all’Egitto e ai suoi alleati. E visto che Dahlan è persona non grata a Ramallah a causa dei conflitti interni a Fatah, la pressione dell’Anp su Gaza è destinata a crescere.
La competizione tra Anp e Hamas per consolidare le relazioni con il fronte arabo sostenuto dagli Usa sarà feroce e avverrà sotto lo slogan del “preservare il progetto nazionale” e “proteggere la resistenza”. Tuttavia entrambi i movimenti mancano di una chiara strategia verso le questioni più ampie e urgenti, come la crescente colonizzazione israeliana, la pulizia etnica di Gerusalemme e l’attuazione di leggi razziste contro i palestinesi del 1948 (cittadini israeliani) – l’elemento sempre mancante dai discorsi delle due fazioni al governo.
Nel breve periodo tutte le altre forze politiche, specialmente quelle con un influenza sulle politiche dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) come il Fronte Popolare e il Fronte Democratuco devono fare pressione su Hamas perché cancelli tutte le misure punitive inflitte a Gaza.
Sul lungo periodo è necessario un approccio che mostri l’illegalità del blocco di Gaza come forma di punizione collettiva. Questo approccio deve chiamare in causa Israele e la leadership palestinese responsabile.
Infine, Gaza deve essere messa al centro di un discorso più ampio, la questione palestinese: i diritti al ritorno e all’autodeterminazione del suo milione e mezzo di rifugiati sono sanciti dal diritto internazionale e devono essere messi in pratica.
(continua)
Traduzione a cura della redazione di Nena News