Il 2016, in Palestina, si è caratterizzato per la lotta dei prigionieri contro la “detenzione amministrativa” (senza processo), per la rinnovata cooperazione di sicurezza dell’Anp con le forze di occupazione e per la continua divisione tra l’Anp e il movimento islamista Hamas, scrive Francesco Giordano
di Francesco Giordano
Roma, 31 dicembre 2016, Nena News – L’anno 2016 si va a chiudere ed una frenesia di ricordi affollano il cuore più che la memoria.
Il 2016, in Palestina, si è caratterizzato per la lotta dei prigionieri contro la “detenzione amministrativa” (senza processo), per la rinnovata cooperazione di sicurezza dell’Anp con le forze di occupazione e per la continua divisione tra l’Anp e il movimento islamista Hamas.
Era il 13 giugno e fuori da una delle prigioni israeliane non c’era il deserto di sempre, come i soliti giorni d’estate, con il caldo feroce come i muri di cinta. Una moltitudine di uomini, donne e bambini sfidavano la calura e l’arroganza di quelle mura, di quegli uomini armati; erano felici, qualcuno sventolava la bandiera della Palestina.
Aspettavano allegri che finalmente, dopo una condanna a 14 anni e mezzo, tornasse libero Bilal Kayed, militante del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp). C’erano familiari, amici, compagni e compagne di lotta oltre al loro avvocato. Dopo alcune ore è proprio il telefono di questo che ha squillato. Gli israeliani gli hannno comunicato che Bilal Kayed era stato trasferito in altra prigione e condannato a sei mesi di detenzione amministrativa. Lo avevano deciso 6 giorni prima, in segreto.
Chi è Bilal Kayed?
Bilal Kayed, 35 anni, era stato arrestato il 14 dicembre 2001, con l’accusa di essere un membro del Fplp e di aver partecipato in operazioni di resistenza all’occupazione durante la seconda Intifada. Sottoposto a duri interrogatori per quasi due mesi, si è rifiutato di fornire qualsiasi informazione. Quindi è stato processato da un tribunale militare e condannato a 14 anni e mezzo.
Cosa è la detenzione amministrativa?
Non è una pratica di recente acquisizione. Poggia le proprie fondamenta sull’articolo 111 della legge sullo Stato di Emergenza del Mandato Britannico emanata nel settembre del 1945. Israele iniziò ad adottarla in modo sistematico con l’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza nel 1967. Non prevede un processo ma l’arresto e la detenzione per sei mesi rinnovabili, teoricamente all’infinito, di una persona “sospetta” solo sulla base di indizi, spesso molto vaghi, forniti dai servizi di intelligence.
Khaled Barakat, coordinatore della Campagna per la liberazione del Segretario generale del Fplp Ahmad Sa’adat (in carcere dal 2002 in Israele), spiega: “La lotta per la liberazione di Ahmad Sa’adat e per i prigionieri palestinesi…riflette anche la forza della volontà politica del popolo palestinese. Il sostegno popolare ai prigionieri è un referendum a favore della resistenza e del movimento dei detenuti politici riconosciuto come la leadership autentica e legittima del movimento di liberazione nazionale palestinese”.
Cooperazione di Sicurezza Israele-Anp
L’attuale situazione in Palestina non è rosea solo a causa dell’occupazione militare. A nostro avviso oggi incide soprattutto la collaborazione di sicurezza tra l’Anp e Israele. Appena qualche settimana, denunciano fonti dell’opposizione palestinese, fa la polizia dell’Anp avrebbe assassinato un detenuto palestinese picchiandolo a morte.
Più volte l’Anp ha annunciato l’intenzione di sospendere tutte le operazioni per la sicurezza coordinate con Israele. Lo ha fatto un suo alto dirigente come Jibril Rajoub, a seguito della morte di un importante dirigente di Fatah impegnato contro la confisca delle terre, Ziad Abu Ein – dopo essere stato aggredito e preso alla gola da un soldato israeliano – da lui definito “omicidio premeditato”. Lo ha fatto anche Saeb Erekat, responsabile per i negoziati di pace con Israele. Quest’ultimo si è spinto a dichiarare che l’Anp avrebbe prodotto un documento ufficiale sulla cessazione della cooperazione e che sarebbe stato diffuso dopo qualche ora. Lo stesso Abu Mazen ha minacciato di sospendere la cooperazione per la sicurezza con Israele in numerose occasioni.
Il giornalista palestinese Khaled Abu Toameh ha calcolato che Abu Mazen ha rivolto questa minaccia 58 volte.
Questa cooperazione non è un segreto. Il Palestine Papers, il più importante dossier di documenti confidenziali sui decennali negoziati israelo-palestinesi, ha reso noto i contenuti di questo accordo.
Tutto ebbe inizio nel 2006, a seguito delle elezioni politiche generali vinte da Hamas. Il periodo marzo/dicembre 2006 è stato segnato da numerose aggressioni e scontri che portarono all’uccisione di esponenti di Hamas e Fatah. Più di 600 palestinesi sono rimasti uccisi in scontri, agguati e combattimento tra i due partiti palestinesi rivali fra il gennaio 2006 e il maggio 2007.
Da allora sono passati oltre 10 anni e nessun passo in avanti è stato compiuto dai due contendenti, anzi, si sono radicalizzate le posizioni ed i poteri di casta, in Cisgiordania controllata dall’Anp come a Gaza sotto l’autorità di Hamas.
Questo nonostante gli appelli provenienti da parte dei prigionieri palestinesi di tutte le fazioni fin dal gennaio 2007, infatti scrivevano: “Dalle nostre celle, richiamiamo i nostri fratelli e sorelle, a ricordare l’importanza dell’unità, alla luce della crescente divisione nel seno del popolo.. In applicazione di questo, noi condanniamo unanimemente, gli atti di assassinio, sequestri e l’abuso di vandalismi verbali. Queste sono le scintille che portano alla catastrofe e che dobbiamo prevenire a tutti i costi”.
Ed i compagni del Fplp: “mettiamo in guardia contro ogni tentativo palestinese di contare sull’atteggiamento americano o di accettarne l’interferenza, sottolineando che l’arma più potente per contrastare queste politiche è un fronte nazionale unito, ed urge un serio ed esaustivo dialogo nazionale Palestinese per affrontare la sfida, metter fine alla divisione e costruire un programma politico nazionale unificato”.
Firmatari di questo documento furono per Fatah: Marwan Barghouti. Per Hamas: Abdul Khalek el-Natche. Per il Fplp: Ahmad Sa’adat. Per il Jihad islamico: Bassam el-Saadi. Pero il Fronte Democratico: Mustafa Badarni. Il documento, datato gennaio 2007, è stato l’ultimo, poi è calato il silenzio, tombale, come evidentemente voleva da Israele che poi ha relegato i prigionieri in celle ancora più isolate.
I dirigenti del Fplp scrivevano in comunicato dell’8 luglio 2009, con cui denunciano l’approvazione statunitense di 2500 unità abitative negli insediamenti coloniali israeliani in Cisgiordania: “mettiamo in guardia contro ogni tentativo palestinese di contare sull’atteggiamento americano o di accettarne l’interferenza, sottolineando che l’arma più potente per contrastare queste politiche è un fronte nazionale unito, ed urge un serio ed esaustivo dialogo nazionale palestinese per affrontare la sfida, metter fine alla divisione e costruire un programma politico nazionale unificato”. E crediamo che qualche buona ragione l’avessero nello scrivere quelle parole.
Triste, solitario y final non perché pensiamo che la realtà in Palestina nel 2016 sia una situazione senza alcuna prospettiva, anzi. Il popolo palestinese resiste da oltre 70 anni, resiste nonostante i molti tradimenti dei paesi arabi, nonostante i paesi occidentali siano sempre e comunque schierati con Israele.
Il popolo palestinese è sopravvissuto ad innumerevoli aggressioni e massacri di inaudita ferocia, dalla Nakba a Tel al-Zaatar, da Sabra e Chatila a Piombo Fuso, continuamente fino al 2016, ma ha sempre trovato in se forza e dignità per rialzarsi e resistere all’occupazione.
Crediamo che le contraddizioni esistenti da molti anni saranno superate. Crediamo che le forze vive, sinceramente rivoluzionarie sapranno sconfiggere l’ideologia borghese reazionaria che vive nel movimento di liberazione palestinese.
Con questa certezza, che non è solo un augurio, andiamo verso il 2017.
Con la Palestina nel cuore.
Francesco Giordano