Continua la crociata del governo israeliano contro i palestinesi che lanciano le pietre. Il ministro della sicurezza interna Erdan propone di impiedire ai giuristi “soft” sulla questione di diventare giudici
Roma, 16 settembre 2015, Nena News – “Israele userà tutti i mezzi necessari per fermare i lanciatori di pietre [palestinesi]”. A prometterlo per l’ennesima volta è il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Il pretesto, questa volta, è la morte di un sessantenne israeliano in un incidente stradale avvenuto domenica e causato, sembrerebbe, da un “attacco arabo”. Nonostante la polizia stia ancora indagando se la perdita di controllo del veicolo guidato da Alexander Levlovitz sia stata dovuta ad un errore umano o ad un lancio di pietre, il primo ministro ha già emesso la sua sentenza e in una riunione di emergenza convocata ieri notte con i vertici della sicurezza, ha annunciato un duro giro di vite. “Alla vigilia del nuovo anno ebraico – ha detto il premier - osserviamo nuovamente come il lancio di pietre possa uccidere. Questo genere di atti incontreranno una risposta feroce, punitiva e deterrente da parte nostra”.
Sulla questione è intervenuto anche il ministro della sicurezza interna Gilad Erdan. Erdan, noto per le sue posizioni oltranziste, aveva detto a inizio settimana di voler presentare un piano che impedisca ai giuristi che sono moderati sul lancio di pietre (“un tentato omicidio” per il ministro) di diventare giudici. Le sue dichiarazioni erano state duramente criticate dalla presidente della Corte Suprema, Miriam Naor, secondo cui l’eventuale applicazione del progetto del ministro “ostacolerebbe il lavoro indipendente dei giudici [che costituisce] un pilastro della democrazia”.
Erdan ha voluto però tranquillizzare l’opinione pubblica. Commentando alla radio militare israeliana i violenti scontri avvenuti negli ultimi giorni a Gerusalemme, ha infatti dichiarato che “non è in corso una Intifada sebbene ci sia stato un leggero aumento nel lancio di pietre e Molotov di recente”.
Nella riuonone di emergenza di ieri notte Netanyahu ha detto che il governo sta pensando di “combattere i lanciatori di pietre con ogni mezzo necessario attraverso l’implementazione di pene più severe”. L’esecutivo è d’accordo a stabilire sentenze minime obbligatorie “per quelli che mettono in pericolo la vita umana con pietre, molotov ed esplosivi”. Ma a essere puniti con multe pesanti saranno anche i genitori che “permettono ai loro figli di partecipare agli scontri violenti”. Ovviamente, sia ben inteso, la mano dura di Tel Aviv sarà destinata solo ai lanciatori di pietre palestinesi. Il governo israeliano ha tutt’altro parere e atteggiamento quando a scagliare i sassi sono i coloni.
Le parole di ieri del premier e del ministro giungono dopo tre giorni di scontri tra palestinesi e forze di sicurezza israeliane a Gerusalemme. Le violenze iniziate domenica sono nate dopo l’ennesima “visita” alla Spianata delle moschee dei gruppi di nazionalisti religiosi e messianici israeliani (per Tel Aviv sono “turisti israeliani”). La situazione sembrerebbe essere tornata stamane alla normalità dopo un altro giorno di passione vissuto ieri. La polizia israeliana per bocca della sua portavoce Luba Samri ha fatto sapere alla stampa di aver arrestato due palestinesi negli scontri di ieri in cui sono rimaste ferite 25 persone (nessuna delle quali è in condizioni gravi).
La morte di Levlovitz avvenuta in un incidente stradale domenica è solo l’ultima scusa utilizzata dal governo israeliano per accelerare e inasprire la regolamentazione (già durissima) contro chi lancia le pietre. La parola d’ordine a Tel Aviv è “tolleranza zero” per qualunque “atto di terrorismo”. A inizio mese, infatti, Netanyahu aveva suggerito di aprire il fuoco a chi lancia i sassi contro i soldati israeliani. Le sue dichiarazioni erano giunte a un mese di distanza da quando la Knesset aveva passato un emendamento che punisce con un massimo di 20 anni di prigione chi lancia pietre contro i soldati, contro le auto israeliane e contro le pattuglie di stanza nei Territori occupati. La pena scende a un massimo di 10 anni quando il sospettato riesce a dimostrare – per assurdo – che l’obiettivo del lancio non era quello di danneggiare cose o persone.
Le attuali regole di ingaggio consentono a soldati e poliziotti di sparare solo in caso di pericolo imminente per la propria vita o per il pubblico, e solo dopo una serie di colpi di avvertimento. Un regolamento che però, nei fatti, è facilmente violato: le cronache parlano di decine di palestinesi colpiti da proiettili dell’esercito israeliano anche quando “disarmati” o non partecipanti alle proteste contro le forze d’occupazione.
Durante le manifestazioni del giorno della Nakba nel 2014, ad esempio, le telecamere a circuito chiuso ripresero l’uccisione di due giovani palestinesi a Beitunia lontano dal luogo in cui si svolgeva una protesta contro l’esercito israeliano. In un episodio simile, le pallottole sparate dai militari hanno raggiunto e ucciso Jihad al-Jaf’ari sul tetto della sua casa nel campo profughi di Dheisheh, vicino Betlemme. Nena News